L’anomalia italiana
copre la realtà
l’anomalia italiana
copre la realtà

Di nuovo giorni cupi per la politica italiana con l’ennesima, annunciata crisi di governo. Giorni nei quali sulla legittima indignazione, potrebbe prevalere un sentimento di rassegnazione. Rassegnazione per una politica storicamente anomala, da sempre litigiosa fra maggioranza e opposizione (e dentro la maggioranza e l’opposizione!). Tratti storici, dunque, solo accentuati da fenomeni emersi più di recente: le coabitazioni obbligate fra forze politiche antagonistiche e l’emergere di partiti di protesta. Un rapido sguardo fuori confine mette però in seria discussione la presunta e storica anomalia del nostro Paese.

Partiamo dalla litigiosità e dalla instabilità dei governi. Senza scomodare il Giappone – dove decine di governi sono caduti per liti interne al partito di maggioranza – o il Belgio (due anni senza governo), uno sguardo alle vicende recenti di Portogallo, Irlanda, Grecia, Romania, Bulgaria e Olanda ci fa capire che crisi di governo ed elezioni anticipate sono un fenomeno comune, ampiamente diffuso in questi anni di pesante crisi economica. Germania e Grecia ci ricordano poi che le coabitazioni forzate fra partiti tradizionalmente contrapposti non sono un vezzo recente del Belpaese ma una pesante necessità se le elezioni (o le leggi elettorali) non fanno emergere dalle urne un verdetto chiaro.

Anche la nascita e il consolidarsi di partiti di protesta, con varie sfumature di euroscetticismo e xenofobia, non sono certo una peculiarità italiana: la Francia ha il partito della Le Pen; l’Olanda il partito della libertà di Wilder; la Finlandia quello dei Finlandesi veri; la Grecia Syriza e addirittura la neonazista Alba Dorata. Negli Usa i movimenti di protesta e rottura sono addirittura incardinati nei partiti principali: basti pensare al Tea Party che da anni condiziona pesantemente il Partito Repubblicano.

Come si vede siano in buona compagnia e la tesi della peculiarità «storica» italiana per spiegare – e soprattutto giustificare – quanto sta accadendo, fa acqua. Rimane l’anomalia da cui siamo partiti: quella di un leader condannato in via definitiva per evasione fiscale che non accetta di lasciare il campo e induce alle dimissioni i «suoi» ministri e parlamentari, aprendo una crisi di governo a pochi giorni dalla approvazione della legge di stabilità.

Anche in questo caso a ben guardare ci sarebbe un precedente: nella lontana Thailandia, quando il primo ministro in carica Thaksim Shinawatra, ricco imprenditore «sceso in campo» nel 2001 con un suo partito, viene accusato di evasione fiscale e di tutelare le sue aziende più che gli interessi del Paese. Forte del sostegno del suo elettorato non vuole lasciare. Il re usa la sua influenza per convincerlo ad abbandonare ma senza esito. Interviene allora l’esercito con un colpo di stato e Thaksim lascia il Paese (vive ora a Dubai). Alle elezioni successive le redini del partito vengono prese dalla sorella, attuale primo ministro.

Torniamo in Italia. «Re Giorgio» ha fatto tutto ciò che la costituzione gli permette per favorire ad una soluzione morbida; all’ipotesi colpo di Stato non vogliamo neppure pensare; la successione familiare è stata, per ora, esclusa da Marina Berlusconi. Per risolvere l’anomalia, resterebbe l’ipotesi dell’uscita di scena dignitosa, spontanea e nel rispetto delle leggi. Una soluzione che permetterebbe all’ex primo ministro di godere del meritato riposo dopo una vita spesa nell’economia e nella politica italiane; agli italiani di affrontare – finalmente e serenamente – i veri problemi che affliggono il Paese. Le notizie di queste ultime ore fanno – ahimè – intravvedere un epilogo diverso. Più pericoloso per tutti.

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