’Ndrangheta: la divisione
tra “noi” e “loro”

Spesso commettiamo l’errore di immaginare l’esecuzione di misure cautelari come frutto dell’improvvisa scoperta di un “male” clamoroso e inaspettato.

Il “male” di Mariano Comense non può essere considerato una sorpresa. E la cronaca che l’informazione corretta offre con precisione (lo ha fatto Paolo Moretti su queste pagine) e quella approssimativa invece riduce a “operazione” con immagini di lampeggianti blu, è il risultato di complesse indagini a cui hanno lungamente lavorato polizia giudiziaria e magistrati.

Che organizzazioni criminali si interessino del nostro territorio non è sorprendente né nuovo.

La maggiore o minore attenzione al fenomeno sconta la sua sottovalutazione quotidiana e la sua sopravvalutazione episodica.

Il fatto è che questo male esiste e le sue manifestazioni sono forme di egoismo estremo.

Lo è quello del criminale disposto a usare la violenza nei confronti del prossimo per garantirsi un profitto illecito; lo è quello del commerciante o dell’imprenditore che per quieto vivere aiuta il radicamento delle mafie; lo è quello degli uomini dello Stato non disposti a guardare oltre le “piccole” manifestazioni di illegalità che segnalano - e preparano - presenze di molto maggior peso.

Esistono regole da rispettare; esistono strutture che sollecitano quel rispetto.

Ma la tessitura di una società civile è data quantomeno da due elementi ulteriori: lo spontaneo rispetto delle norme da parte della gran parte dei cittadini e la piena consapevolezza del proprio ruolo e dei propri doveri da parte di chi svolge funzioni pubbliche.

Serve dunque che ciascuno faccia il suo: l’insegnante non rassegnato, il poliziotto e il carabiniere non distratti, il commerciante non pavido, il magistrato non pigro, il politico non disponibile.

Senza puntare il dito contro l’altro ma ciascuno guardandosi allo specchio.

E avendo ben chiaro - e proclamando senza incertezze - che il comportamento che colloca “dall’altra parte” non è l’azione criminale ma già l’atteggiamento di prepotenza malavitosa, e non è la corruzione ma già la disponibilità ad ascoltare proposte oblique e a cercare strade brevi per aggirare le regole.

È una divisione, tra “noi” cittadini onesti, componenti di una collettività civile, e “loro”, che va resa evidente, e che non ha bisogno di “operazioni” spettacolari di polizia, né di sentenze della Cassazione.

Certo, per poter chiedere ai cittadini comuni di rimanere nel patto che tiene insieme una società civile, chi svolge una funzione pubblica deve dare qualcosa di più.

Non soltanto essere onesto o dire di esserlo ma rispettare le regole una virgola più degli altri e immaginare ogni giorno come rendere migliori la macchina amministrativa, la sicurezza, la giustizia, l’ambiente.

Perché, dall’altra parte, i criminali di immaginazione ne hanno tanta.

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