Nuova Lega
Vecchie ruggini
Nuova lega, vecchi vizi

Che la Lega, il più vecchio dei partiti italiani rimasti sulla piazza, stia cambiando pelle è fuor di dubbio. Come è certo, al di là del giudizio politico sul personaggio, che Salvini ha rimesso in marcia il Carroccio ammaccato ereditato da Bossi. Il problema è la direzione che il felpato segretario intende imprimere al movimento. Ed è una faccenda che non riguarda solo i “lumbard” o come si chiamano adesso ma un po’ tutta l’articolata e galassia politico elettorale di un centrodestra piuttosto in disarmo.

Nonostante tutte le novità introdotte dall’altro Matteo in via Bellerio, però, rimane una

questione irrisolta che si trascina fin dagli albori della Lega: quella del rapporto tra i lombardi e i veneti che è riesplosa in occasione dalla diatriba Zaia-Tosi per la candidatura alla presidenza della Regione. In apparenza è una faccenda che riguarda solo personaggi che stazionano a est del lago di Garda. Ma nel momento in cui nello scontro, a sostegno del governatore uscente della Serenissima, è sceso in campo con tutto il suo peso il segretario federale Salvini è sembrato di rivedere le vecchie tenzoni tra i leghisti veneti desiderosi di contare di più nelle dinamiche del movimento e Umberto Bossi che finiva per risolvere la questione in maniera (politicamente) sanguinaria, decapitando i vertici serenissimi per sostituirli con personaggi più malleabili. Gli epurati finivano per costituire minuscole formazioni politiche destinate a scomparire di lì a breve. L’attuale numero uno leghista sembra aver brandito una versione soft dello spadone del Senatur. E Tosi è certo conscio dei rischi di un ulteriore frammentazione della Lega.

Il fatto è che Liga Veneta è qualcosa che esiste prima della Lega. E questo spiega le ritrosie ad accettare la preminenza lombarda nel partito. La storia di queste lotte intestine al movimento è narrata in varie pubblicazione, tra queste “Dalla Liga alla Lega” di Francesco Iori. Alla fine, i lombardi hanno sempre prevalso, riuscendo a creare un equilibrio di fronte al quale i veneti hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco.

In questo caso però ci sono alcune differenze. La prima è che Salvini vuole plasmare un partito meno identitario e territoriale rispetto al passato, in cui le differenze “etniche” sembrerebbero destinate ad annullarsi. La seconda è che, dal punto di vista politico, Flavio Tosi ha anticipato lo stesso segretario nazionale quando, con la candidatura vincente a sindaco di Verona ha sparigliato l’alleanza di centrodestra per diventare il punto di riferimento del blocco sociale moderato. Zaia, al contrario, ha governato la Regione con i partner di sempre, a cominciare da quegli alfaniani in aperto contrasto, cordialmente ricambiati, con lo stesso Salvini. Si sa, del resto, che nella politica italiana gli ideali contano tanto ma le poltrone di più.

Insomma tra i due il più affine al leader dovrebbe essere il sindaco di Verona. Invece il segretario ha scelto di puntare su Zaia. Se Salvini però ambisce a riunire gli elettori di centrodestra, ammesso e non concesso che abbia le spalle abbastanza robuste per riuscirci, sarebbe meglio che facesse chiarezza su quali devono e non devono essere i compagni di strada, che forse poi non sono tutti uguali. Dentro e fuori il movimento.

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