Nuove idee, o avremo
una città fantasma

Non ci sono i soldi, facciamoci venire almeno delle (buone) idee.

Il faldone dal titolo “zone fantasma a Como” rischia di diventare sempre più corposo, la cronaca infatti ci racconta di porzioni importanti della nostra città ancora senza un futuro. In qualche caso la situazione si trascina da decenni, in altri (leggi ex ospedale Sant’Anna) le brutte notizie sono recenti. Edifici e parchi di proprietà dello Stato, della Regione o del Comune che giacciono in condizioni di abbandono e degrado oppure - nella migliore delle ipotesi - sono blindati e non utilizzabili. Un patrimonio da salvare. Ingredienti? Con le casse vuote, diamo spazio al coraggio, magari a un pizzico di fantasia e attingiamo alle esperienze positive realizzate altrove.

L’ultimo caso in ordine di tempo - potete leggerne in Cronaca - riguarda Villa Giovio, enorme edificio con annesso parco altrettanto grande, a Breccia. Un compendio di proprietà dell’Inail, chiuso da decenni dopo esser stato un sanatorio. Ma i casi di mala gestione del patrimonio pubblico, purtroppo, sono numerosi, e l’elenco comprende certamente il citato vecchio Sant’Anna di via Napoleona, naturalmente la Ticosa, l’area ex Trevitex di Camerlata (in questo caso la svolta, pur tardiva, c’è stata), il Politeama, il San Martino. E persino il palazzetto dello sport di Muggiò: chiuso definitivamente da qualche mese, cade letteralmente a pezzi senza che - per stessa ammissione del Comune - ci sia un progetto per quell’area.

Non si può generalizzare, sono aree diverse, eppure con un comune denominatore: potranno salvarsi e rinascere, scongiurando il rischio di una città sempre più “fantasma”, solo con un accordo tra ente pubblico e investitori privati. Uno scenario che necessita, come precondizione, amministratori capaci di tessere relazioni, di coinvolgere piuttosto che escludere, di lavorare in squadra e fare pressione alzando la voce se necessario.

Il sindaco Mario Lucini ha più volte citato come segno distintivo dell’azione della sua giunta la capacità di dialogare con tutte quelle che ama definire «forze vive» della città. E i primi risultati si sono visti, a partire dal contributo di tanti privati pronti a impegnare tempo e risorse per rendere Como più bella. Ma sui grandi temi, salvo il lungolago (qui Lucini ha saputo stringere alleanze sia con i privati che con la Regione), questa capacità di fare rete e creare progetti per aree “a rischio” non si è ancora vista.

Si dirà che la crisi economica non aiuta. Verissimo. Ma riqualificare non significa forse creare opportunità di lavoro? Lo stesso piano di governo del territorio punta tutto sulla riqualificazione, quasi azzerando il consumo di nuovo suolo. Vale per le aree private, non si capisce perché non dovrebbe valere - soprattutto e prima di tutto - per i beni di proprietà pubblica. Così si fa crescere Como: evitando di dilapidare un patrimonio e trasformando il deserto odierno in nuove opportunità. Avremo una città più vivace, più ricca di servizi, quindi più attrattiva.

La speranza è che il faldone delle “zone fantasma” diventi sempre più sottile, fino a scomparire. E chissà che in una delle tante aree in cerca di futuro non possa trovare posto la nuova sede della Guardia di finanza. Così da liberare la Casa del fascio. Edificio che - con un progetto culturale serio e una gestione oculata - potrebbe davvero mettere le ali a Como.

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