Quirinale: la corsa
è partita al buio

Tempo quindici giorni e i “grandi elettori” del nuovo presidente della Repubblica saranno convocati alla loro prima riunione plenaria. Quindici giorni sono un tempo ragionevole per maturare una decisione in merito, soprattutto se si considera che l’allontanamento di Napolitano dal Quirinale è in corso da tempo. Della sua successione si parla - e si tratta - ormai da settimane. Virtualmente dal giorno stesso in cui accettò un secondo mandato. L’accettazione infatti era legata allo stato di emergenza - e al tempo necessario per superarla - della politica. Sì può star certi comunque che il 29 gennaio le Camere riunite brancoleranno più o meno nel buio. La complicazione della scelta dipende da più fattori. Dalle caratteristiche della votazione: per i primi tre turni l’elezione avviene con la maggioranza dei due terzi. Dal tipo di carica: il capo dello Stato rappresenta l’unità della nazione ed è garante della Costituzione. Dalla durata dell’incarico: sette anni, ben più di una legislatura. Soprattutto, le difficoltà sono riconducibili allo stato assai precario in cui versa la politica nazionale.

L’elezione del presidente dellaRepubblica è sempre stata esposta, peraltro, al cecchinaggio dei franchi tiratori, sicuri di poter gambizzare impunemente il candidato sgradito, coperti come sono dal voto segreto. Nell’odierna occasione l’esposizione al rischio di bocciatura di un candidato ufficiale è ben maggiore. Basti pensare che circa la metà del Pd non fa mistero dei suoi intenti bellicosi nei confronti del segretario. Renzi si ripromette di riuscire ad eleggere il nuovo inquilino del Quirinale alla quarta votazione, quando basta una maggioranza semplice, ma il suo è pur sempre un azzardo. In mancanza di un accordo con l’opposizione interna rischia infatti di non avere i numeri. Anche nel campo di Berlusconi, il partner del patto del Nazareno, non vale più l’obbedienza pronta e assoluta al gran capo. A rendere aleatoria ogni previsione c’è inoltre una costante: nella decisione dei grandi elettori pesano in genere assai più le aspettative dello scenario prossimo venturo che non la valutazione della congruenza del candidato con la carica che si apprestano ad attribuire. Né serve ricordare loro che, una volta eletto, il capo dello stato non è vincolato alla maggioranza che lo ha insediato. Cossiga fu voluto da Dc e Pci e finì col picconare proprio quei due partiti. Tanto meno, ci si può aspettare che la scelta sia orientata dal rispetto delle attribuzioni indicate dalla Carta costituzionale per il capo dello Stato, attribuzioni peraltro espresse in modo sufficientemente vago per essere interpretate a suo piacimento (come l’esperienza ci insegna) dall’eletto. Potrà essere “un arbitro saggio” (auspicio del dimissionario), un “presidente schivo” (augurio del Giornale), “un despota gentile” (definizione attribuita di Peppino Caldarola a Napolitano) o un monarca (come Travaglio ha accusato di esser stato “re Giorgio”).

Nulla ci permette di escludere che la seduta delle Camere riunite non si trasformi nel solito gioco crudele e imprevedibile (ultimo esempio l’elezione dei nuovi membri del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale) se non in una corrida sanguinosa. A richiamare al senso di responsabilità i nostri grandi elettori c’è da sperare serva, se non la consapevolezza di provocare la prevedibile tracimazione dell’antipolitica, almeno la paura del loro sfratto da Montecitorio e da Palazzo Madama per sopraggiunto scioglimento delle Camere.

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