Cantù, adesso rialzati. Lo devi ai tuoi tifosi

Attenzione all’errore di ricorrere, dopo il flop in Coppa Italia, ai processi o agli psicodrammi

Due le cose da tenere in seria considerazione. Uno, non vinci per diritto divino o solo perché ti chiami Pallacanestro Cantù. Anche se ti spendi, e spendi, per organizzare la manifestazione in casa. Due, aspettiamo un attimo prima di scatenare processi e psicodrammi. Non fosse altro che c’è ancora il vero obiettivo stagionale, la promozione in A, da cercare di andare a prendersi.

È un misto di rabbia e delusione, quello che accompagna il giorno dopo la sconfitta con Cento nella seminale della Final Four di Coppa Italia a Busto Arsizio. E non potrebbe essere altrimenti, visto tutto quello che ha fatto la società per arrivare fin lì (e ragionevolmente anche un po’ più avanti) e che si attendevano i tifosi (che non hanno deluso le attese, riempiendo gli spalti).

Il club, nel momento in cui ha chiesto e ottenuto l’organizzazione dell’evento, ha fatto di tutto per cercare una comfort zone per giocatori e staff. Mettendo in campo un programma molto fitto e di alto livello.

Uno dei limiti, paradossalmente, è stato proprio questo. Lanciando,cioè, una volata talmente da lontano - tra tagli dei nastri, dibattiti, moderatori, clinic, seminari e annessi e connessi - che altro non ha fatto che accendere i riflettori già settimane e settimane prima su una kermesse che, stringi stringi, durava due giorni e metteva in palio un trofeo prestigioso. L’unica cosa che alla fine interessava al tifoso (ma non solo).

Una squadra indifendibile

Da qui, dunque - e non per difendere una squadra di per sé indifendibile per quello che ha fatto (anzi, non ha fatto) vedere - il carico di pressione ricaduto sul gruppo. Gruppo che, dal canto suo, almeno in questa fase, ha peccato, e non poco, in personalità, qualità che - a occhio - pare appartenere giusto a Filippo Baldi Rossi, un po’ a Dario Hunt, a sprazzi a Lorenzo Bucarelli e Matteo Da Ros e un po’ poco agli altri, a cominciare dalla delusione assoluta costituita da Roko Rogic, suo malgrado protagonista della classica controprestazione.

Date queste negatività per acquisite(vogliamo aggiungervi un - per noi da fuori - inspiegabile mancato coinvolgimento del nuovo arrivato Alessandro Morgillo proprio nella serata no di Hunt?), il rischio più elevato, in questo momento, è quello di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca, come spesso accade quando analizzi le cose a caldo.

Cantù - già per sua natura, ma ancora di più negli ultimi quattro anni - è tutto tranne che una piazza qualunque. Lo spiega il fatto che sia nelle mani di una proprietà diffusa, affidata all’azionariato popolare. Ed è proprio questa complessa rete di punti di riferimento che, specie in momenti di difficoltà come adesso, autorizza chiunque a dire la propria, in una sorta di multiproprietà anche delle opinioni. Con tutte, proprio tutte, le conseguenze del caso, compresa - sovente - la perniciosa e pericolosissima ricerca di colui, o coloro, a cui scaricare colpe e responsabilità.

Perché qui (e forse è meglio che lo comprendano anche staff e squadra), nessuna sconfitta è normale. E, allora, quando perdi, ecco partire il circo del “perché abbiamo perso?”. Con riunioni, summit, scambi di messaggi e tutto lo scibile umano in tema di convegnistica pura. E, quando vinci, altro giro di opinioni strettamente personali (se non riportate da altri...) sul “motivo per cui lo si è fatto solo di cinque e non di ventitré?”.

Il tutto, specie davanti al flop, tenendo poco conto del fatto che esista una scala gerarchica e chi occupa posizioni di vertice, dalle quali è lecito aspettarsi eventuali spiegazioni (sono stati messi lì, o ingaggiati, apposta per farlo). Il riferimento, e nemmeno puramente casuale, dal punto di vista societario è al presidente Roberto Allievi, che come in tutte le altre parti del mondo, è tenuto a fare sintesi del parere - già diffuso - del cda, e non di altro.

E, dal punto di vista tecnico, al general manager Alessandro Santoro che, nel pieno delle facoltà e delle deleghe che gli sono state accordate, sceglie tecnici, giocatori e collaboratori di cui eventualmente sarà chiamato a rispondere. Gestendo le cose, quando vanno bene e quando vanno male. Cercando, se possibile, di prevenire eventuali problemi. Sia Allievi, per pedigree e integrità morale, sia Santoro, per carriera ed esperienza, sono in grado di badare alla situazione e adempiere al ruolo assegnato.

Ecco perché proprio a loro, adesso, bisognerebbe guardare. Affidandosi alla sensibilità di uno e alla competenza dell’altro. Per reagire, al più presto, allo choc della sconfitta e rituffarsi, senza la solita e barbosa negatività, nel campionato (se non ce ne siamo accorti, domenica arriva Torino, e non sarà una passeggiata...).

Anche Meo dovrà fare un’analisi

Anche al tecnico Meo Sacchetti toccherà un’approfondita analisi di quel che è successo e delle scelte che sono state fatte. Ci sarà una dose di sfortuna da mettere dentro la relazione (il virus intestinale che ha bloccato Stefan Nikolic, le non perfette condizioni di Da Ros e il non avere per infortunio Nicola Berdini proprio nel giorno del blackout di Rogic), ma ci sono pure dei passaggi a vuoto inspiegabili, perché non si può che perdere una partita nella quale, per 34 minuti e rotti, ha condotto Cento, solo per 2 e poco più Cantù e gli altri sono stati in parità.

Eppure, un paio di fiammate, avevano riportato l’Acqua S. Bernardo a un tiro dall’avversaria: proviamo a ripartire da lì, ripiegando i vestiti degli inquisitori. Lasciando scatti d’ira e comportamenti bipolari a piazze diverse da queste. Non si vince solo perché ci si chiama Pallacanestro Cantù, ma, provare a pescare dal tanto di buono che ha fatto Pallacanestro Cantù, può aiutare.

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