Pancotto si cucina la sua Cantù
«Siamo come cazzuola e Sforzato»

Intervista all’allenatore della Pallacanestro Cantù che si esibisce in uno show cooking

Coach Cesare Pancotto alla prova fornelli. Non è uno scherzo, perché l’allenatore della Pallacanestro Cantù oggi svestirà metaforicamente la tuta da coach, per indossare il grembiule da cucina. Il tecnico di Porto San Giorgio si cimenterà – iniziativa di Acqua San Bernardo, intesa come azienda-sponsor di Cantù – in un momento di condivisione con lo chef Barbara Girardi della Cascina di Mattia: dovrà preparare un dolce leggero. È un’iniziativa che rientra nell’ambito di “In Cucina con S.Bernardo”, una sorta di trasmissione in diretta su Instagram, che ha già visto ai fornelli altri vip come Gianluca Zambrotta, Melissa Satta e Melita Toniolo, accompagnati da chef professionisti.

E per Pancotto, “nomen omen” - perché il pan cotto è un piatto povero tipico della sua terra marchigiana, pane raffermo aggiunto al brodo -, si tratterà di una bella sfida. Intanto, il coach ci racconta il suo viaggio nell’Italia gastronomica: nella sua carriera ci allenatore, è entrato in contatto con ben dieci regioni italiane, comprese le sue Marche. È diventato un intenditore, di vini soprattutto. Quindi, mettetevi comodi comodi a tavola…

Coach, com’è il suo rapporto con la cucina?

Sono un frequentatore di cucine, nel senso che sono solo un fruitore: per me cucina è mettere i piedi sotto al tavolo.

Nessuna esperienza quindi?

No, per fortuna. La prima volta che ho provato a fare un uovo al tegamino ho dimenticato l’olio e ho rovinato la padella: un vero disastro…

Lei arriva dalle Marche, terra di grandi piatti. Il suo preferito in assoluto?

Sono due ed entrambi tipici delle mie zone: spaghetti alle vongole e brodetto di pesce. Sono l’espressione della mia famiglia di pescatori e commercianti di pesce. Mia madre cucinava spesso questi piatti, è quindi un dolce ricordo.

Poi girando in lungo e in largo l’Italia, cos’ha scoperto?

L’uomo-allenatore che gira l’Italia si arricchisce della cultura delle persone. Cultura in senso letterale, per arte e bellezze, e poi cultura gastronomica per il cibo e i vini fantastici: è stato un bel percorso. Ho imparato tanto ovunque.

Facciamo qualche esempio?

Mi concentro su specialità magari meno conosciute. In Abruzzo c’è un piatto, si chiama Le Virtù: si mangia solo l’1 maggio, si mescola tutto quello che è rimasto tra le scorte, quindi verdure, legumi, salumi. Per il Friuli cito la jota, una minestra a base di crauti, fagioli e patate. In Toscana ho apprezzato la pappa col pomodoro, in Sicilia la pasta ncasciata con le melanzane, nel Lazio la famosa cacio e pepe e i carciofi alla romana. Altra particolarità: ad Alghero ho scoperto l’agliata, cucinata con polpo o palombo fritti. In Campania la minestra maritata napoletana, tipica del periodo invernale con cavolo nero, cicoria e scarola da maritare con cotiche, piedino, puntine e salsiccia. Che generosità, che ricchezza e quante tipologie di piatti nel nostro Paese: incarnano cultura, storia e tradizioni tramandate.

E in Brianza cos’ha scoperto?

Ho provato cassoeula, òs büüs e perdonatemi la pronuncia non corretta, oltre ai risotti, due piatti che abbinerei a un ottimo Sforzato valtellinese. L’anno prossimo a Cantù spero di fare un percorso ancora più ricco da questo punto di vista, scoprendo altre specialità.

A proposito di vini, se ne intende?

Più che un intenditore, sono un degustatore. Partiamo dal fatto che ero astemio. Da giocatore, ho incontrato compagni che volevo spingermi a bere. Un mio compagno, a quei tempi, nascondeva le bottiglie e le portava in camera e ho imparato così a conoscere i vini. Magari so scegliere, perché prima si deve dar retta al gusto: come per un quadro, non per forza dev’essere di un grande pittore per emozionare. Se poi sai abbinare il vino giusto al piatto, allora la combinazione è perfetta.

Gusti particolari?

Difficile dirlo, perché girando ho fatto conoscenza con ottimi vini, in tutte le regioni italiane. Se parliamo di vino però vorrei giocare in casa: Verdicchio bianco e Rosso Piceno. Per fortuna ho lasciato tanti amici in giro per l’Italia che, conoscendo la mia passione, mi regalano ottime bottiglie.

I migliori abbinamenti?

Un vino rosso di bassa gradazione, che beveva mio padre marinaio da accompagnare al pesce. Con salumi e formaggi ci vuole sempre un vino bianco, ma fermo e secco.

Se la sua Cantù fosse un vino, quale sarebbe?

Faccio il gioco delle coppie: un Rosso Conero della mia terra, abbinato allo Sforzato valtellinese. E il piatto? Sicuramente la cazzuola, che mi è piaciuta tantissimo, con entrambe le versioni, “light” e “strong”. Ci starebbe bene anche un vino Pecorino bianco marchigiano.

Avanti con i paragoni arditi. Pecchia sulla tavola sarebbe…

Un vino friulano, una ribolla gialla: fresco, giovane, ma già con sua spiccata personalità.

E il talento Procida?

Beh, anche in questo caso bisogna andare su un vino giovane. Torniamo quindi nelle mie Marche e scegliamo una Passerina. Quella spumantizzata però, perché è briosa.

Ma Pancotto sta per pan cotto?

Sicuramente, ed è un nome delle nostre zone, così come il piatto tipico. Da piccolo un po’ mi scherzavano, giocando sul cognome: rispondevo che l’avevo scelto per essere originale.

Coach, è preoccupato per questa “sfida” su Instagram in cui si cimenterà ai fornelli?

Sono preoccupato per la chef più che altro. Dovrò realizzare un dolce leggero ed è una bella idea, perché mi piace mettermi in discussione. Non so da dove partire, ma so che con l’aiuto di una professionista ce la farò: sono molto carico e fiducioso in me stesso.

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