Como, Kone da matti: «Io, ragazzo semplice e tutto fare in campo»

Il nuovo arrivato: «Ho giocato mezzala e anche play. Per me questa è una bella occasione»

Che poi, a dirlo porta magari anche un po’ sfiga. Ma la sensazione è che il Como abbia messo le mani su un gran bel giocatore: Ben Lhassine Kone. Che deve solo sbarazzarsi della maledizione degli infortuni che lo hanno frenato a Cosenza e a Frosinone. Ma che non gli hanno impedito di mettersi in luce come un centrocampista di grande qualità. Se non credete a noi, potete andare a vedere le immagini su youtube. Mezza punta nel Torino Primavera, più arretrato poi, specie del Frosinone dove ha giocato play. Ma sempre con i piedi buoni, il tocco giusto, la tecnica che ti fa innamorare. Gol di fino, dribbling, intuizioni. Il Como se lo è legato a sè sino al 2027. Può essere una bella storia, la perla che può portare il Como nelle posizioni alte della classifica.

Ciao Ben. Sei contento?

(arriva con la felpa e il cappuccio tirato su, sembra un pugile, ma con il sorriso rilassato). Sì, sono contento. Una bella opportunità, una società ambiziosa. A me piace far parte di un progetto, è fondamentale.

Lo scorso anno, proprio contro il Como avevi fatto una partita monstre.

Me la ricordo, ma credo che non sia stata l’unica che ho giocato bene. Se però vi avevo colpito, sono contento.

Non ha colpito solo noi: su youtube c’è un filmato apposta dal titolo “Kone contro il Como”.

Divertente. Ma non ricordo di aver fatto niente di speciale.

Che giocatore sei?

Gioco a centrocampo, e l’ho fatto un po’ dappertutto. Nel Torino ero più avanzato, addirittura a volte giocavo in attacco. Poi sono arretrato, a Frosinone ho fatto anche il play.

Dove preferisci giocare?

Indifferente, va bene tutto. A Frosinone ho fatto anche il terzino...

Ma ti piace saltare l’uomo, pare.

Se ci sono le condizioni per farlo, se è utile per la squadra, ci posso provare.

Qual è il tuo modello?

Se intendi, giocatori che ho osservato da bambino, magari africani, dico Drogba, magari Kessie. Io sono della Costa d’Avorio, guardavo loro, magari quelli del Camerun. Ma adesso il mio idolo calcistico è Verratti.

Verratti? Allora ti vedi più play che mezzala...

Lui mi piace perché è uno che sa fare tutto, completo. Vorrei essere come lui.

E anche il numero che avevi a Frosinone, l’anno scorso, era tipico del play: il 4.

Ah, no... (ride) quello è per mia figlia, la sua data di nascita.

Hai 23 anni e sei già papà.

Sì, la mia compagna è di Cosenza, e la mia famiglia è molto importante per me. Peccato che qui il 4 ce l’ha già Solini e il 44 Ioannou. Accidenti, dovrò battagliare all’asta per averne uno dei due...

Chi sono gli allenatori che ti hanno dato di più?

Ho nel cuore Mihailovjic. L’ho avuto per un breve periodo al Torino. Un allenatore magnetico. Mi ha insegnato molto dal punto di vista della motivazione, della voglia, del temperamento. Difficile dimenticarlo. Poi Juric, soprattutto dal punto di vista tattico.

Sei arrivato in Italia che avevi 14 anni.

Sì, ho raggiunto mia mamma che era qui, con mia sorella, già da qualche anno. A Roma, precisamente. Poi ho giocato in due società dilettantistiche, all’inizio non avevo il permesso di soggiorno a posto, poi tutto si è sistemato e ho giocato alla Vigor Perconti. Sembravo destinato alla Lazio, ma poi si è intromesso i Torino. E sono andato via.

Una scelta coraggiosa.

Beh, chi mi era vicino mi aveva detto: qui a Roma hai tutto, la mamma, gli affetti, chi ti cucina e ti coccola. Se vuoi diventare un uomo, sapertela sbrigare da solo, meglio che vai lontano, al Nord. E così ho scelto il Torino.

Hai anche debuttato in serie A.

Sì.

Ma il Toro ti ha mollato.

Ora ripartiamo da Como. La testa è quì.

Che tipo sei fuori dal campo?

Sono un ragazzo semplice. Molto semplice. Quando sono in giro, spero che non mi riconoscano, perché non mi piace passare per il fenomeno che fa il calciatore. Sono empatico, se uno mi piace a pelle diventa mio amico. Mi piace il Reggaeton, mi piace cucinare (e declama la ricetta di un piatto del suo paese).

Tutti questi tatuaggi?

Tutti riferimenti familiari, date di nascita delle persone care, cose così.

Dove può arrivare il Como?

Non lo so, speriamo in alto. Ma posso dire una cosa. Il segreto del Frosinone lo scorso anno è stato pensare a una partita alla volta. Chi si sente forte all’inizio e pensa di essere padrone del campionato, poi magari fallisce. Il nostro segreto era stato questo: ogni partita partire da zero e non avere paura di nessuno. E poi ci vuole un grande gruppo, perché questa cosa può fare la differenza, trovarsi bene con i compagni, un bel clima nello spogliatoio.

Conoscevi qualcuno dei tuoi nuovi compagni?

Baselli lo avevo incrociato al Torino. Anche del mister ho sentito molto parlare, perché è molto legato al Torino.

Allora in bocca al lupo: facci divertire.

Ci proverò.

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