Facchin: «Felice del mio ruolo, ma che sofferenza la partita in tribuna»

Collaboratore del ds nel Como: «Faccio fatica a sentire le critiche, mi sento parte dello spogliatoio»

Una vita diversa, ma nemmeno troppo. Davide Facchin va all’allenamento ogni giorno, come prima. Ha le idee chiare su chi vuole essere e come vuole esserlo, come prima. E come prima, come sempre, non ama parlare di sé, non ama le interviste. Ma a differenza di prima, quando era il campo a parlare per lui, ora c’è da raccontare di lui qualcosa di diverso, questi suoi primi mesi passati dall’altra parte, a imparare un mestiere nuovo

Davide buongiorno, come dobbiamo definirti ora, dirigente, apprendista direttore...

Direi collaboratore del direttore, è la definizione più giusta. Perché sto facendo un percorso di formazione dirigenziale. Senza un ruolo ben definito ma cercando di imparare un po’ su tutti i fronti. In particolare, però, sto vicino alle dinamiche della squadra, la cosa che del resto mi viene più naturale. Per ora sono decisamente uno più da campo che da ufficio, è la situazione in cui mi esprimo meglio. Non mi sono perso un solo allenamento della squadra.

E non hai mai avuto l’istinto di cambiarti e allenarti?

Diciamo che ogni tanto sbaglio porta e vado verso lo spogliatoio... ma niente nostalgie, del resto sapete che ho fatto questa scelta convinto, come è stato sempre nella mia carriera. Anche a costo di prendere decisioni impopolari.

Anzi, già l’anno prima avevi fatto un primo passo indietro. Poi, invece, è venuta fuori una stagione straordinaria tra i pali.

Che ha anche rovinato un po’ i miei piani... a parte gli scherzi, avevo già cominciato a studiare l’inglese, a osservare e studiare determinate dinamiche per la mia professione futura. Per la prima volta non mi pesava stare in panchina, non avevo la preoccupazione di dover dimostrare qualcosa a qualcuno. E invece è successo quello che è successo.

E non ti è certo dispiaciuto...

Chiaramente no. Al di là del fatto che ho aiutato la squadra a salvarsi, e questo è stato il primo motivo di soddisfazione, soprattutto ho lasciato il calcio giocato con una credibilità diversa. Cioè, non mi sono fatto da parte perché non ce la facevo più a giocare ma perché davvero ero e sono convinto di fare questo. Credo l’abbiano capito tutti, e questa è una bella soddisfazione.

E’ più facile o più difficile quello che stai facendo ora?

La parte più difficile è il giorno della partita. Il momento della sfida, della competizione, quello sì, manca. Ma, soprattutto nei momenti in cui le cose andavano meno bene, è difficile stare in tribuna, perché è terribile per me dover stare a sentire i commenti, le critiche. Cose normali in certi momenti, ma io ho un sentimento fraterno verso i miei ex compagni, in questi casi è come se facessi ancora parte di questa squadra. E’ difficile stare zitto, non reagire...

Ce la fai?

Mi allontano, e fumo cercando di farmela passare. Ora posso farlo, del resto.

In quanto ai rapporti tra squadra e società, in un certo senso è una prosecuzione di un ruolo che avevi anche prima, da giocatore.

Sì, è sempre stato un po’ nella mia indole il fatto di riuscire a entrare in empatia con le esigenze del gruppo, per me dunque è un percorso abbastanza naturale, anche se ora visto e vissuto un po’ più dal di fuori.

Come hai vissuto in questo ruolo questi mesi non proprio facilissimi?

Proprio la fortuna di conoscere bene questo gruppo, da cui in un certo senso non mi sono mai staccato, mi ha aiutato a comprendere lo stato d’animo dello spogliatoio. Certo, trovarsi in fondo alla classifica non fa stare bene, ma la situazione è stata sempre sotto controllo. E il fatto di essere una squadra forte e competitiva non è mai stato messo in dubbio da nessuno. Poi ci sono tante dinamiche e problematiche, che da dentro sono chiarissime magari da fuori un po’ meno. La squadra va messa insieme, va fatta crescere, certi passaggi sono inevitabili. Ma siamo sempre stati fiduciosi che il momento difficile sarebbe passato.

Ed è definitivamente superato?

I risultati non sono prevedibili, ma assolutamente sì. La squadra ora ha le armi per affrontare, elaborare e superare qualsiasi possibile difficoltà.

Da portiere, uno sguardo alla porta ogni tanto scappa?

Sì, ovvio. Ma noi abbiamo un ottimo preparatore dei portieri, che non ha bisogno dei miei consigli.

Ti piace Ghidotti?

Sì, ha fatto una buona prima parte di stagione pur catapultato in una realtà nuova e più difficile. Il futuro è dalla sua parte.

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