«Il mio caro beltrami, un duro con il sorriso. E io gli devo molto »

Il ricordo di Tardelli: ««Mi scoprì da giocatore e mi diede fiducia da allenatore. Era un grande»

Ha traslocato dalla “Domenica Sportiva” a “Novantesimo Minuto”. Ha traslocato da tempo da Como a Roma, per via della sua relazione con la giornalista Myrta Merlino. Ma Como (dove conserva una casa bellissima) resta nel cuore di Marco Tardelli. E ora gli è toccato andare con la memoria, purtroppo tristemente, a quei giorni azzurri, per via della scomparsa di Giancarlo Beltrami. Il ds del Como che in due occasioni lo lanciò, prima da giocatore (1974) e poi da allenatore (1993). Sempre con i colori del Como. Un rapporto nato sulla stima, sulla amicizia e anche su serate passate a scherzare. Perché Giancarlo Beltrami era così: un duro con il sorriso. Uno che a volte sembrava uscito dal cabaret del Derby, dalla scuola di Jannacci e Cochi e Renato, uno di quella Milano lì, di quella verve lì, di quella simpatia e umanità lì. Non potevamo limitarci al racconto della sua scomparsa: Como gli deve molto, una promozione in A nel 1975 e una in B nel 1993. E allora, per ricordarlo, ci siamo affidati a Marco Tardelli. Che c’era. E non per sbaglio.

Mister, brutta notizia eh...

Davvero. Un pezzo della mia vita. Una brava persona, un professionista molto abile, i tratti e i tic di un calcio più umano che non c’è più.

Beltrami la lanciò due volte.

Vero. Ebbe fiducia in me. Non solo: a un certo punto mi portò anche all’Inter, ma non andò bene quella volta.

Come la scoprì?

Era il 1973 e credo che gli venni segnalato dai suoi osservatori che mandava in giro per i campi. Io giocavo a Pisa. E piombò come un falco.

Venne inserito nella squadra che poi andò in A.

Stagione indimenticabile. Ma non facile per me.

Perché?

Subii psicologicamente la lontananza da casa. Dormivo in convitto con altri sei o sette ragazzi, Ma soffrivo. Tanto che l’allenatore Marchioro cominciò a mandarmi a casa tutte le settimane per farmi stare tranquillo. Beltrami e il mister presero a cuore la cosa.

E cosa fecero?

Beltrami mi mandò ad abitare a casa di Correnti, il capitano. In lui trovai una sorta di fratello maggiore e le cose piano piano si sistemarono. Ma avevo sempre gli occhi addosso di Beltrami, che controllava che tutto fosse ok.

Marchioro e Beltrami. Uno insisteva, l’altro ogni tanto diceva: “Che du ball, ti el to Tardelli...”

(Ride, ndr) Non so chi diceva cosa, ma mi volevano bene tutti e due. Io avevo iniziato terzino, poi mi trasformarono in mediano. E la stagione decollò.

Tutti a parlare, giustamente dell’urlo di Madrid alla finale del Mundial 1982, però c’è una foto, esposta anche recentemente al museo per la festa dei 115 anni, che la ritrae con lo stesso urlo ma con la maglia del Como...

Sì, era Como-Verona del 1975, la partita della promozione in serie A. Avevo appena fatto un assist per uno dei due gol di Cappellini, e sentivo un po’ mia quella rete. Forse avevo fatto le prove per il famoso urlo Mundial...

Poi la cessione alla Juve.

Sì, mi ricordo che si era inserita l’Inter nella trattativa, ma poi finii alla Juventus. La cessione che cambiò la mia carriera.

Come se lo ricorda Beltami in quella stagione?

Uno che sapeva essere a volte duro, pretenzioso con i giocatori, ma sempre poi con un tratto gentile. Anche per lui erano gli inizi. Dopo la mia cessione, un anno o due dopo, andò all’Inter e vinse due scudetti, uno con Bersellini e uno con Trapattoni, con operazioni di mercato storiche come quelle che portarono in nerazzurro Altobelli, Beccalossi oppure Mattheus e Brehme. Dietro la sua aria scanzonata c’era un falco che sapeva anticipare tutti sul mercato. Un abile negoziatore senza dubbio, ma questo lo dicono i fatti.

Poi l’avventura da allenatore.

In realtà prima volle portarmi all’Inter da giocatore dove lo ritrovai più grande e importante. I nostri rapporti non si erano interrotti. Ogni tanto ci si vedeva a cena. Così quando nel 1993 tornò al Como, lui e il presidente Beretta vollero darmi una chance in panchina.

E andò bene: promozione in serie B.

Un’altra stagione indimenticabile, ma ricordo che Beltrami mi stette vicino anche e soprattutto nella stagione successiva, quella della retrocessione, in cui mi difese sempre e fino alla fine. E restai sulla panchina sino alla fine.

Erano famosi i suoi strafalcioni: una volta disse che Beretta aveva avuto un colpo di freddo per via dell’”aria condizionale”.

(Ride di nuovo, ndr.) Era il suo personaggio, chissà, magari faceva anche apposta. Gli piaceva far sorridere le persone e così stemperava la tensione. Ma fatemi dire che per me era soprattutto una grande persona di un calcio che non c’è più.

In che senso?

Mah..., venivate a farmi le interviste a Orsenigo negli spogliatoi mentre mi asciugavo i capelli. Provateci oggi. E’ tutto cambiato, ed è inutile stare qui a dire se era meglio o peggio. Certo quel sorriso, quelle battute, quella voglia di vivere trasmessa anche durante l’esercizio delle sue funzioni è una cosa che è molto difficile oggi da ritrovare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA