Longo: «Il Como, la rimonta e un insegnamento: non mollare mai»

L’allenatore azzurro: «Il mio calcio dice che dalle difficoltà si può sempre ripartire»

Di Moreno Longo colpisce la determinazione. Parla come se stesse allenando, o se stesse sollevando... i pesi in palestra (uno di suo hobby, quello di mantenersi in forma). Dentro l’anima del nuovo allenatore del Como c’è il dolore e la risalita dopo un grave infortunio che gli interruppe la carriera da calciatore. Dunque, la capacità di reagire alle avversità e di costruire, da qualcosa di negativo, qualcosa di positivo, è il suo mantra. E, come capirete, sono argomenti che sembrano cuciti su misura sulla vicenda del Como che ha preso in mano. Per questo, partiamo dal fondo, dall’ultima domanda e dall’ultima risposta di questa intervista, che rappresenta il primo incontro a cuore aperto con il nuovo allenatore azzurro.

Come ha influito l’infortunio che, più o meno, le troncò la carriera, sulla sua attività di allenatore?

C’è un filo conduttore. Ho dedicato sforzi ed energie a costruire qualcosa che fosse una reazione a quell’episodio. Ho dovuto reinventarmi in un altro ruolo. Ai miei giocatori dico sempre che da una sventura può nascere qualcosa di buono. Per esempio imparando dai propri errori.

Appunto. Il caso del Como.

Vi racconterò tre episodi, tre situazioni in spogliatoio per capire cosa vuol dire reagire a degli errori.

Prego.

Uno dei momenti fondamentali è stato il dopo partita di Modena. Ho guardato in faccia i giocatori e ho detto loro che da certe esperienza nasce la possibilità di rifarsi, di reagire. Capendo gli errori e cercando di non ripeterli più. E in effetti la squadra ha mostrato di capire quel discorso, perché ha lavorato sempre con impegno per migliorare.

Poi?

A Cosenza, quando abbiamo a tratti dominato la partita, ma alla fine dei conti hanno fatto i gol loro. Dunque, non serve essere dominanti se poi fanno gol gli avversari.

La terza?

Quello che abbiamo detto, sia io che il dg Ludi, alla fine della partita con il Perugia. Un successo 1-0, sporco ma importante per come è venuto. Avessimo vinto 3-0, sarebbe stato meno importante. Vincere dimostrando di saper soffrire, specie in questa categoria dove dico sempre che bisogna sporcarsi le mani, è stato importante per l’autostima.

Dunque il Como che sogna Longo, a che punto è? Al 50%? Al 70%?

Fare percentuali è molto complicato e francamente non me la sento. Credo che siamo migliorati, che abbiamo mostrato voglia di reagire, compattezza, anche coraggio. E risultati. La partita con il Genoa ha fatto vedere cose interessanti. Abbiamo cercato di essere coraggiosi, andando anche a pressare alto i giocatori del Genoa. La squadra sta migliorando, e credo si veda.

Ma quando c’è stata la svolta?

Secondo me non c’è stata una svolta, a parte quelle riflessioni dopo il Modena. Ma credo che si sia trattato di aggiungere un pezzettino alla volta. I giocatori hanno dimostrato di tenerci.

Che Como ha trovato quando è arrivato qui? Il problema era di testa o di muscoli?

Per me le cose vanno di pari passo. A volte la condizione psicologica favorevole ti fa correre più del dovuto. Ma credo che ci fosse anche una condizione fisica non ottimale. Ci abbiamo lavorato.

Lei è famoso per dedicare attenzione ai calci piazzati. Prendere sei gol da calcio da fermo non suonava come una beffa?

È stata una situazione particolare. Cose che, potrei quasi dire, non puoi allenare. Se prendi gol marcando a uomo, significa che hai perso il duello uno contro uno. Che ci puoi fare? È subentrata anche una paura psicologica, una certa incertezza. E allora abbiamo cambiato.

Cioè?

Da qualche partita giochiamo a zona. E siamo migliorati. Non abbiamo preso più gol in quei frangenti, stando più attenti al pallone che non all’avversario.

Qual è il suo modulo ideale? E perché, pur avendo giocato spesso a 3 dietro, qui gioca a 4?

Io non ho un modulo ideale. Io lavoro sul materiale e sulle situazioni a disposizione. Al Torino ho vinto con la primavera giocando a 4 dietro. Un 4-3-3 o un 4-2-4. Ma poi mi sono trovato ad ereditare squadre costruite per giocare a tre, come a Vercelli o a Frosinone, e io ho interpretato quella situazione.

E al Como? Si dice: squadra costruita con tanti esterni e modulo che li penalizza...

Intanto in questo momento io tutti questi esterni non li vedo: Gatto, Kerrigan e Chajia sono fuori. E se ne hai pochi disponibili, e uno si fa male, poi devi cambiare. In più ci sono uomini come Fabregas e Baselli, ma anche Faragò, che si trovano bene in un centrocampo a tre. Per ora questa è la via più funzionale, poi si vedrà.

Il suo, a volte, sembra più un 4-1-3-2.

Io i discorsi sui moduli li capisco fino a un certo punto. Le squadre sono messe diversamente in campo, addirittura nelle due fasi. Se Baselli, per costruire, affianca i centrali allora è un 5 dietro... Capisco la necessità di fare chiarezza su come si gioca, ma poi durante la partita ci si sposta, si cambia, specie nel calcio moderno. È un tema che non mi appassiona.

Parliamo di Fabregas?

Prego.

Come ce lo racconta?

Un grande professionista, una persona che contribuisce a dare qualità che aiuta i compagni, che rappresenta un elemento positivo nel gruppo.

Ce lo aspettavamo play, e invece è stato schierato dietro le punte.

Fabregas può fare tutto. Se per quello, in carriera ha fatto anche il falso nueve. La sua condizione fisica sta migliorando, settimana dopo settimana, grazie anche alla sua abnegazione e all’impegno che ci mette. Credo che in prospettiva, possa essere il play che costruisce.

Qual è l’obiettivo del Como, a questo punto?

Io credo che bisogna vivere alla giornata e fare un passettino alla volta. Quando fai due punti su cinque partite, poi devi uscire da una situazione difficile. Dunque il primo obiettivo è toglierci da questa situazione, e non è ancora finita.

Lei passa per essere un allenatore motivatore, che pretende energia.

Penso che nel calcio si vinca se arrivi prima sulle seconde palle, se vinci i duelli uno contro uno, se metti motivazione e forza. Ma non mi sembra chissà quale cosa originale: quale squadra può vincere passeggiando?

Lei è tifoso del Toro, giusto?

Beh, sono di Torino, avevo uno zio che giocava nel Torino e lo andavo a vedere al Filadelfia. Ho giocato nelle giovanili, ho giocato in prima squadra, ho allenato le giovanili e ho allenato la Prima squadra. Certe cose ti restano.

Che idea si è fatto della piazza di Como?

Una piazza che ha un grande potenziale. Una piazza che paga gli anni passati lontano dal calcio che conta, e certe cose possono anche provocare un buco generazionale nelle presenze allo stadio. Ora c’è una società ambiziosa e c’è tutto perché Como torni ad essere quella che era.

Se le dicevano “Como”, prima di venire qui, a cosa pensava?

Alle figurine che facevo da ragazzino, quando attaccavo quella di Corneliusson.

Hobby?

Dicono che gli hobby aiutino a “staccare”. Ma io questa necessità di “staccare” ancora non la sento...

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