La Curva Azzurra a salutare Pucci
«Per noi è stato come un papà»

Ieri il funerale di Angelo Frigerio, noto tifoso. Drappi e vecchi ultrà alle esequie di Sant’Agata. «Aveva un cuore grande così. Mancherà a tutti»

Anche gli alberi di magnoglia, sul viale, sembravano rendergli omaggio: l’esplosione di fiori bianchi ricordavano una delle coreografie che piacevano tanto a lui, quelle con i pon pon con cui colorava la curva del Como. Ieri è stato il giorno dell’ultimo saluto ad Angelo Frigerio detto Pucci, 81 anni, papà della tifoseria azzurra. Il funerale nella chiesa di Sant’Agata, a due passi da casa sua.

E, nonostante divieti e restrizioni che sconsigliano di uscire di casa, sono stati in tanti a venire a rendergli omaggio. A mettere in scena l’ultima coreografia: un centinaio di tifosi del Como si sono radunati sul piazzale a fine cerimonia e hanno acceso fumogeni e torce all’uscita del feretro, dedicandogli l’ultimo lunghissimo applauso. Era, in gran parte, la colonna portante del tifo degli Anni Ottanta. Lui, il Pucci, e la gente che lo aspettava lì fuori. Lo dicevano chiaramente i drappi esposti: Ultras, Panthers, Fossa Lariana e Ram, originali striscioni del tempo che fu, usciti dagli scantinati, quelli del tifo curvaiolo degli albori di un certo tipo di tifo azzurro, che aveva scelto quell’uomo buono, mite, volenteroso, entusiasta come punto di riferimento. «Era il nostro papà», commentavano i tifosi sul sagrato, e molti lo hanno scritto sui social e su facebook. Quando le curve cominciavano a fare i conti con ragazzi esuberanti, lui si era preso la briga di valorizzare il loro entusiasmo, tenendoli a freno nelle loro esagerazioni.

Frigerio, noto anche nel mondo non tifoso per i numerosi esercizi legati alla ristorazione che aveva gestito (dal Bar del Panino al Chiosco di via Cattaneo e prima ancora il Crotto dei Platani) era amato e apprezzato perché aveva una caratteristica speciale: si dava da fare cercando sempre di smussare angoli e spigolosità, che nel mondo del tifo non mancano mai. Era una bandiera per questo. Ieri la sua fede religiosa e quella calcistica si sono unite in una specie di cerimonia bilaterale. dove i cori di chiesa si sono uniti a quelli da stadio. E non lo diciamo noi, che potremmo apparire blasfemi, ma lo ha detto don Daniele nella sua omelia: «La gente presente qui, testimonia quello che ci ha lasciato Angelo: mi immagino che, assieme alla veste bianca con cui si è presentato al Signore, abbia portato una veste azzurra, che era la sua seconda fede. E che magari abbia fatto alzare le mani agl angeli e abbia fatto loro fare una “ola”».

«Infondo la Bibbia indica gli occhi, le mani e il cuore come modo di giudicare le persone, e lui nella sua maniera speciale di unire e non dividere, nell’aiutare magari chi il biglietto non lo poteva comprare, ha dimostrato di avere un cuore grande».

Il cuore che campeggiava su quel bandierone gigante che aveva fatto realizzare, e che ancora oggi nelle giornate di festa torna far capolino. La moglie Mariangela, che ha condiviso con lui mille avventure, e i tre figli si sono stretti i un abbraccio. Uno dei figli, Roberto, ha letto un messaggio chiuso con un toccante addio: «Ciao Pucci».

© RIPRODUZIONE RISERVATA