«Rivetti e il suo orgoglio per il Como»

Il ricordo Ardito: «A lui si deve il mio ritorno a Como. Venivo dalla A, dal Lecce, e non fu una trattativa facile»

Mai banale. Amilcare Rivetti, co proprietario del Como dal 2006 al 2011, dirigente, per un breve periodo anche presidente, scomparso l’altro ieri, non era esattamente uno che passava inosservato. Alto, grande, ingombrante, faceva di tutto per stare in disparte ma in realtà era un atteggiamento affinché tu lo andassi a cercare. E lui rimuginava, meditava, rosolava pensieri, faceva finta di non volerti dire nulla, ma poi era una lama tagliente. Un attore. Aveva anche il phisique du role. Faccia da marinaio navigato. Tutta la sua carriera imprenditoriale di successo con la Union Cafè lo aveva formato, e per via della passione del calcio, aveva voluto trasferire le sue capacità nel mondo del pallone.

Christian Papa, suo genero, aveva avuto ruoli manageriali sia in azienda che nel Como: «Ho conosciuto mio suocero al Lora Lipomo - dice Papa, oggi impegnato a Dubai nel campo dell’arredamento -: io ero giocatore e lui vicepresidente. Già lì era competitivo, avrebbe voluto portare la squadra in serie D, ma si fermò all’Eccellenza perché poi ci sarebbero stati problemi di agibilità dell’impianto. Quando capì che più di lì non poteva andare, mollò tutto. Ma la sua passione per il calcio, per lo sport rimaneva: da ragazzo del resto aveva giocato nelle scarpette rosse del basket a Milano. Si capiva che ci avrebbe riprovato». Il Como: «Lo aveva coinvolto Angiuoni, che era suo cliente per le macchinette del caffè. Fece lo sponsor nel 2006-07. E poi entrò in società. Ci rimase male per la vicenda Ciuccariello, e poi non credeva alla scelta di dare spazio ai Tesoro. Mi diede la delega operativa. Cedere a Porro non lo entusiasmava, ma pensava che fosse la soluzione migliore. Gli promisero di fare il presidente per 5 anni, ma non mantennero la promessa. E lui si defilò, senza far casino. Ma ci rimase male. Era un grande gestore di persone, in azienda e in società».

Andrea Ardito, come Filippini, Maah, Franco, Bardelloni, era uno dei suoi preferiti: «A lui si deve il mio ritorno a Como. Venivo dalla A, dal Lecce, e non fu una trattativa facile. Ma quella volta ebbi l’impressione che, se ci fosse stato Di Bari al tavolo, non avremmo chiuso. Lui ci teneva molto che io tornassi. Era un tifoso del Como, orgoglioso dei colori azzurri. Di Bari era un esperto di calcio, più il bastone nella gestione: Rivetti usava più la carota. Era una sagoma. Mi ricordo il discorso di Natale del 2011, quando prese il microfono e davanti a tutti mise sul tavolo tutte le difficoltà economiche, rivendicando il fatto che qualcuno non voleva fare la sua parte. Io ero in difficoltà, mi tolsero la fascia. C’era casino, un anno difficile. Lui cercava di farci stare tranquilli».

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