Frates: «Il basket cambierà
Produrre ora giocatori italiani»

Intervista con l’ex allenatore della Pallacanestro Cantù. «C’è un solo modo: incentivi, incentivi e incentivi per chi lavora sui vivai».

«Dobbiamo tornare a produrre giocatori italiani». È il momento di ripensare, ricostruire, ristrutturare e rimodellare: e, allora, chi meglio di un architetto può avere voce in capitolo? Se poi l’architetto è anche un allenatore di vaglia, l’ultimo ad aver vinto la Coppa Korac a Cantù, e ha le basi pratiche e l’onestà intellettuale per dire la propria, abbiamo fatto bingo.

Fabrizio Frates, da dove partire?

Siamo di fronte a un momento decisivo e che ci offre la possibilità di una svolta clamorosa. Da una tragedia - per prima cosa umana, visto il disastro dei morti, e poi economica, per le conseguenze pesanti che ci porteremo dietro - dovremo essere abili a cogliere l’occasione.

Come?

Prima di tutto pensando che il nostro è uno sport di contiguità, contatti e vicinanza. Che ha bisogno di tutto questo perché lo spettacolo possa esistere. Voi riuscite a immaginarvi una pallacanestro senza contatto? Figurarsi senza pubblico e senza tutta l’adrenalina che ne consegue... Qualcuno magari, specie tra quelli non abituati alla pressione, potrà anche giocare meglio, ma una roba così non si può vedere.

Per cui?

Bisognerà trovare un modo per cercare idee nuove. Diverse. Che prendano spunto dalle situazioni fisiologiche. Rivedendo date, formule, situazioni di gioco e investimenti.

Pare facile, ma qui non si vede nemmeno la luce in fondo al tunnel...

Abbiamo solo un punto di riferimento temporale, che è il pre Olimpico del 2021? Benissimo, allora partiamo da lì.

Facendo cosa?

Scaliamo 4 settimane dal giorno della partenza, il tempo minimo per fare lavorare Sacchetti e la Nazionale, e arretriamo. Pensando a quando poter cominciare. Sarà l’1 gennaio? Allora formula e partite, magari una ogni tre giorni, per pensare al campionato. Ricordiamoci che è la Nazionale a far da traino a un movimento e che l’unico punto fermo che abbiamo ora è lì.

Basta questo?

Affatto, non scherziamo. Il tutto va ovviamente corroborato con una serie di riforme, dalla ristrutturazione dei campionati al tornare, finalmente e una volta per tutte, a produrre giocatori italiani di valore. Una cosa che noi non facciamo più. Adesso più che mai, però, sarà ben difficile poter pensare a una squadra di soli stranieri, le risorse saranno pochissime e non è detto che qualche franchigia non debba andare incontro a un ridimensionamento economico e di ambizioni, magari persino di categoria.

Facciamo però un po’ i conti della serva: tra A e A2, poco poco ci sono in giro 130/150stranieri: abbiamo già così tanti italiani da buttare dentro?

Certo che no. E forse non si può neanche pensare, a parte che Cremona lo sta facendo, a una squadra senza americani. Ma prima o poi, poco o tanto alla volta, bisogna partire. Adesso penso che sia inevitabile.

Ok, partiamo. Ma da dove?

Dalla Federazione, che, ripensando alla base, dovrà entrare a gamba tesa e investire. Forte. Incentivi, incentivi e incentivi per chi lavora sui ragazzi. Andiamo pure a dare la caccia agli oriundi, che servono soprattutto per la Nazionale. Ma adesso è arrivato il momento di tornare a produrre i nostri giocatori.

Dando valore, quindi, al lavoro delle società.

È fondamentale. Sento parlare di abolire i contributi Nas, sarebbe la fine istantanea del movimento. Chi avrà più interesse a lavorare sui giovani, principalmente ora che si dovrà far fronte a nuovi costi, dall’impiantistica alla sicurezza?

Nell’era del libero scambio, però, ha poco senso anche imporre le regole per decreto.

E infatti non lo penso. Inutile mettersi lì a fare calcoli.Partiamo con il dare i premi e avere in squadra almeno 4 o 5 italiani di peso specifico, non l’ottavo, il nono, il decimo e l’undicesimo. Gente che abbia delle responsabilità e che se le prenda, tipo Corrado Fumagalli che a 16 anni entra in campo a Madrid per Marzorati infortunato.

Sì, ma con lo spettacolo come la mettiamo?

Prima di tutto ognuno deve fare la propria parte, pubblico compreso. Più che lo spettacolo, probabilmente cambierà la prospettiva del nostro basket, e dovremo essere bravi anche noi allenatori ad accorgercene: forse molti più passaggi e molti meno uno contro uno. Ma sarà per un periodo a medio termine, il tempo di costruire dal basso e ottenere qualche risultato sulla formazione dei giocatori.

Quante saranno le società disposte ad accettare rischi così alti?

A parte che, escluse tre o quattro piazze, con i budget che ci saranno in giro, probabilmente più che trovare un americano che forse di là dell’Oceano faceva l’idraulico non si potrà, ovvio che si debba pensare a una riforma dei campionati.

Come?

Magari bloccando le retrocessioni per tre stagioni, quindi lasciando programmare con una certa tranquillità. Ma, badate bene, guardando prima i bilanci: chi li ha in regola comincia, chi no scende di categoria. Una volta in ballo, non si può pensare di lasciare debiti in giro, contratti non onorati o altro.

Ci sarà pure, però, chi avrà soldi o ambizioni: a quel punto che fare?

Che so, magari una luxury tax. Dopo il terzo o quarto americano farla scattare e in maniera adeguata.

E il pubblico?

Il pubblico deve capire. Poi, ovvio, bisognerà incidere tanto anche sui media, specie se si dovesse giocare a porte chiuse. Serve la tv, magari più di un passaggio al giorno. E rendere il basket visibile e appetibile agli sponsor, che saranno sempre meno, almeno all’inizio.

Ma chi vede seduti attorno al tavolo delle riforme?

All’inizio, magari, attorno a un tavolo sarà difficile, viste le restrizioni. Forse più facile davanti a un computer. Gli attori? Almeno cinque, e non potrebbe essere altrimenti: Federazione, società, giocatori, allenatori e arbitri. In Italia le teste le abbiamo, il problema non è questo. Chiaro, in quattro e quattr’otto, non è facile trovare il sistema perfetto, quindi bisognerà avere anche l’umiltà di cambiare se qualcosa di sperimentato non dovesse funzionare.

E i capisaldi quali devono essere?

Investire sulla formazione, e in questo caso un bel ruolo potremmo ritagliarcelo anche noi allenatori, lavorando da istruttori e formatori, e poi partire con un reclutamento a tappeto. Prima, ai miei tempi, su 10 ragazzi di 2 metri 9 venivamo al basket, adesso forse -tra volley, cacio e nuoto - non più di 4. Il materiale è parecchio meno, noi dovremo lavorarci molto meglio.

E poi conteranno l’ambizione e l’obiettivo.

Fondamentali. A Cantù, ad esempio, un anno arrivava in A1 Fumagalli, l’anno dopo Gilardi, poi Milesi, poi Foschini e via così. Abbiamo bisogno di giovani che pensino: “Allora posso farcela anch’io”. Ecco questa deve essere la molla.

E voi allenatori? Pronti a fare la vostra parte?

Mai come in questo periodo ho visto la categoria compatta. Ci sentiamo, ci parliamo, ci scriviamo e ci aggiorniamo con clinic e video. Siamo, insomma, i primi a sapere che serviranno flessibilità e nuove vedute.

© RIPRODUZIONE RISERVATA