Gattuso a cuore aperto
«Io prima tifoso poi il resto»

Uno stralcio dell’intervista che trovate sul giornale di oggi a Giacomo Gattuso, ospite della nostra redazione

È l’uomo del momento. Semmai ci sia stato un momento della carriera di Jack Gattuso, da amico o da avversario, in cui non lo sia stato, per i tifosi del Como. Così abbiamo invitato l’allenatore in redazione per dare un doveroso sguardo al passato e farci raccontare la sua storia tutta azzurra. In una maniera particolare: sfogliando insieme le fotografie della sua carriera presenti nel nostro archivio, e commentarle con lui. Un racconto di immagini, ma soprattutto di vicende. Cercando di mettere a fuoco i momenti fondamentali della sua vita con il Como. Non sono stati pochi. Gattuso ha avuto diversi inizi, almeno cinque, e qualche addio. Tutte pagine da ricordare, da raccontare. Per spiegare perché Jack Gattuso è un personaggio speciale.

Tifoso in curva.

Io sono di Cernobbio, giocavo nella Cernobbiese. Feci un provino per l’Inter, ma mi spaventava il viaggio. Poi lo feci per il Como, e mi presero. Ma, intanto, andavo già allo stadio. La prima volta mi portò il papà di un mio amico: mi ricordo Bonaldi e un gol con un assist di tacco. Poi, dai 12 ai 16 anni, in Curva. Le vedevo tutte. Erano tutti miei idoli, Invernizzi, Centi, Matteoli, Borgonovo...

Le giovanili, Massola e le... scivolate.

Dagli Esordienti ho fatto tutte le giovanili. Il mio primo allenatore è stato Ostinelli, che era un professore di ginnastica, e mi aiutò a mettere su massa muscolare perché ero troppo gracilino. Poi mi allenò Massola, e lui mi trasferì le regole del settore giovanile del Como: il gruppo, l’onestà, la dignità, la puntualità. Insomma, mi insegnò a diventare uomo. Quelle regole non le ho mai perse e ne faccio tesoro, sia nella vita privata che sul campo. Ma in quei giorni imparai anche la scivolata, che molti tifosi ed ex compagni ricordano ancora adesso. Siccome non ero tanto potente, e nella corsa spalla a spalla restavo indietro, la scivolata mi consentiva di guadagnare metri. Ma dovevo avere tempismo. Me la portai dietro sempre.

Le prime convocazioni e Bersellini.

La prima convocazione me la ricordo ancora: in panchina con i miei idoli. Non ci credevo. Allenava Agroppi, lui e Burgnich mi chiamavano spesso. La prima presenza in B, mi pare a Brescia. Giocai tanto in B, a Vitali piacevo. Poi venne Galeone e giocai meno. Ma la storia vera cominciò l’anno dopo in C, con Bersellini. È l’anno di quella foto in bianco e nero dove c’è il povero Fortunato e gli altri compagni. Sembro un bambino... Divenni titolare, lui stravedeva per me. A fine allenamento si fermava con noi giovani, per migliorarci. Ho imparato tanto da lui. Mi considero un allenatore vecchio stampo per certi valori, per certe regole. Anche se tatticamente studio e sono moderno, ma una certa filosofia mi è rimasta dentro. Bersellini aveva vinto uno scudetto, eh...

Tardelli, l’unico gol, la promozione.

Tardelli è stato un idolo. Ero juventino, figurarsi. Essere allenato da Tardelli: vi rendete conto? Mi diede la fascia di capitano. L’avevo già indossata in passato, ma lui mi fece capitano fisso. Non ero un capitano duro, cercavo sempre il dialogo. E poi c’erano tanti vice capitani: Manzo, Boscolo, Catelli... Io credo che Tardelli ricreò in piccolo il clima del Mundial 82. E poi c’è stato il gol, l’unico gol della mia carriera nel Como. Como-Triestina, che tra l’altro fu la partita della svolta: da 0-2 a 3-2. Io feci il 2-2, ricevetti palla da calcio d’angolo, e calciai forte in diagonale. Impazzii. Mi arrampicai talmente d’impeto sulla rete, che per poco non saltai di là.

Il primo ritorno e la telefonata al supermercato.

Il Saronno andava bene, andammo ai playoff e intanto si vociferava che Preziosi stesse per comprare il Como. Allora cominciai a pensarci, a sperare. E poi mi dicevo che eravamo andati bene, e che sarebbe stato logico finire nella lista dei giocatori che sarebbero andati di là, con Marziano, Tomassini e gli altri. Invece un pomeriggio ero al supermercato, squillò il telefonino, e ricordo come fosse adesso quella telefonata. Era il nuovo ds del Como Terraneo che mi disse: caro Gattuso, abbiamo deciso che lei rimarrà a Saronno. Passeggiavo avanti e indietro con l’apparecchio in mano, alzai la voce, diventai rosso paonazzo. Poi quando Terraneo capì che era andato un po’ in là e si rischiava l’incidente diplomatico, mi disse: Jack, è uno scherzo! Già  un maledettissimo scherzo. Preziosi aveva già scelto di riportarmi a Como.

E come finiamo il racconto?

Finiamo col dire che io sono il primo tifoso di questa squadra. Questa frase si può sentire anche da persone che transitano uno o due anni. Tutto normale, bisogna esaltarsi, e capisco anche chi bacia lo stemma dopo un gol, anche se nemmeno conosce la storia. Ma la mia è una vicenda particolare, il sentimento che mi lega a questa maglia e a questi tifosi è una cosa molto particolare. La foto sul pedalò mi piace. Rappresenta il mio amore per Como. Mi portaste anche a farne una sotto il monumento dei Caduti. Pochi hanno la fortuna di giocare o allenare nella propria squadra del cuore. Per questo dico sempre che sono a disposizione della società e farò qualsiasi cosa per il bene del Como. Quel giorno, in quel giro di campo con il Brescello, ho capito che non c’è nessuna soddisfazione nel calcio che pareggi quella di essere un simbolo di una tifoseria. E se c’è spazio per una foto in più, mettete quella in panchina con la sciarpa. Direi che mi rappresenta molto bene...

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