«Io, dall’Albate calcio
al cellulare di Lotito»

Intervista con Claudio Bocchietti, ex dirigente di calcio anche in Lnd.

Da una società di quartiere, alla stanza dei bottoni del calcio. Dalle decisioni da prendere al volo, alla visione nazionale. Per l’avvocato comasco Claudio Bocchietti, 55 anni, il cursus honorum nel mondo del calcio dilettanti è stato un’escalation. Fondatore con Fabio Colmegna e Beppe Peduzzi dell’Albate Calcio nel 1990 – trent’anni compiuti lo scorso 15 maggio -, Bocchietti è diventato nel 2012 vicepresidente della Lega Nazionale Dilettanti, responsabile dell’Area Nord. Ora ha lasciato il calcio («mi resta la presidenza onoraria dell’Albate Calcio, che seguo sempre), ma rivive con passione e orgoglio la sua esperienza.

Come nacque il progetto Albate Calcio?

L’Us Albatese, realtà dell’oratorio, si fermava agli Allievi. C’era voglia di assicurare una categoria a tanti ragazzi che inevitabilmente prendevano strade diverse. Ricordo il “referendum” con le schede nei bar del paese per decidere nome e colori sociali: si votò per la continuità, gialloneri come l’Albatese.

Che esperienza è stata?

Albate Calcio racchiude tutta la mia passione per il calcio. All’epoca della fondazione, rappresentò l’idea di servire in qualche modo la mia comunità. C’è sempre stata una fusione tra tre componenti: laicità, con l’uomo al centro a prescindere dalle convinzioni religiose, socialità e agonismo, per fare il meglio possibile con le risorse a disposizione.

Da presidente, cosa ricorda?

Gli improbabili collegamenti telefonici nei primi anni ’90, con cellulari enormi, per sapere i risultati dagli altri campi mente ci giocavamo la vittoria del campionato Under 21 regionale, che ci regalò la promozione diretta in Seconda. Le “tragedie” vissute nei momenti di difficoltà, come la decisione di esonerare un allenatore. Ma anche il grande spirito di servizio e l’idea di aggregazione che non mancavano mai: l’obiettivo era la valorizzazione dell’uomo in quanto tale. Tutto fatto per il piacere di farlo, per stare insieme, per sentirsi parte di un’idea. Abbiamo lanciato qualche proposta ante litteram: tanta beneficenza, lo psicologo sportivo, il preparatore atletico e tre allenamenti in Seconda categoria.

È vero che all’Albate Calcio non erano previsti rimborsi spese?

Abbiamo sempre cercato di non pagare, perché volevamo creare uno spirito cooperativistico: noi ci mettevamo l’organizzazione e loro massimo impegno, anche per portare avanti il nome di un paese che, fino agli anni ’40, era stato un Comune. Una politica che ha pagato: tanti ragazzi che c’erano nel ’90, sono ancora con noi con vari ruoli.

Poi sono arrivate, quasi all’improvviso, le nomine come dirigente lombardo e nazionale. Come si è ritrovato catapultato in questa nuova missione?

Lo spirito di servizio mi è rimasto anche nei ruoli federali che ho ricoperto. Ma da una piccola società di quartiere, mi sono dovuto occupare del destino di 15 mila società italiane. Ero e sono amico di Carlo Tavecchio: mi ha coinvolto nella consulta del Crl, poi nel 2012 come vicepresidente di Lega Dilettanti.

Un cambio non da poco…

Per quattro anni ho fatto vita romana, un’esperienza da dirigente molto diversa, ma altrettanto interessante. Si capiscono le peculiarità e le esigenze di tutti, dall’Alto Adige a Lampedusa. Siamo Italia, ma ogni posto ha delle problematiche. Lo scopo però è sempre lo stesso, ossia riuscire a far giocare grandi e ragazzini: l’obiettivo della Figc è sempre quello, da Nord a Sud.

Della politica calcistica romana cosa ricorda?

Ho conosciuto tutti i “tic” del calcio e le sue frenesie. Lotito era sempre al cellulare: mentre parlava con te, ascoltava due persone ai cellulari. Ho poi conosciuto bene Andrea Agnelli, Adriano Galliani e Giancarlo Abete. Era poi consuetudine confrontarsi con la politica: con ministri e parlamentari, si cercava di sensibilizzare la politica sui temi della fiscalità e della burocrazia. Ricordo in particolare la vicenda dei defibrillatori obbligatori nei centri sportivi, davvero molto impegnativa.

E cos’ha capito?

Che in Italia lo sport è delle società, che sanno bene come gestirsi.

Come è finita questa fase da dirigente?

Sono rimasto in Lega Dilettanti con Belloli quando Tavecchio è diventato presidente federale. Poi si è esaurita anche quella esperienza, anche perché non era semplice per i miei impegni familiari e lavorativi stare due giorni a settimana a Roma.

Secondo lei la Figc ha gestito bene la situazione durante il coronavirus? È giusto che il calcio riprenda?

La Federazione ha sofferto la chiusura del calcio, la Lnd è stata tra le prime a sospendere tutto. E ha patito, perché la Figc e le leghe hanno anche l’obiettivo di tutelare la salute dei propri tesserati. Ora auspico una ripresa nei tempi giusti per i Dilettanti. Ci si prenda pure tutto il tempo, ma è doveroso tornare in campo: il calcio, specialmente per i giovani, è aggregazione.

E con l’Albate Calcio com’è rimasto?

Ero presidente onorario, carica che formalmente ho perso per incompatibilità. Ma quella carica la sento eccome: del resto, la paternità non si perde mai.

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