Mornati: «L’Italia olimpica?
Modello di organizzazione»

Parla l’ex campione lariano, in campo a Tokyo come segretario generale del Coni

Quelle di Tokyo 2020 sono state Olimpiadi da record per l’Italia. Tra i protagonisti che hanno lavorato dietro le quinte per permettere agli atleti azzurri di arrivare nelle migliori condizioni possibili c’è anche il lariano di Mandello Carlo Mornati, alla sua prima spedizione da segretario generale del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, ruolo che occupa dal marzo del 2018.

Per Mornati è l’ottavo “gettone olimpico”, avendo partecipato a quattro edizioni estive nel canottaggio - con l’argento vinto a Sidney 2000 nel canottaggio - e altrettante nel ruolo di capo delegazione, a partire da Sochi 2014 fino a quella appena conclusa di Tokyo.

A quale di queste edizioni è più legato?

Avendo vissuto le Olimpiadi sotto la doppia veste di atleta e dirigente, sono per forza due: quella di Sidney, quando vinsi la medaglia d’argento, e questa appena conclusa, perché abbiamo ottenuto un risultato non certo scontato.

Quaranta medaglie era difficile prevederle.

Sì, era da Atene che non superavamo quota trenta medaglie, il nostro obiettivo iniziale. Le proiezioni iniziali erano più ampie, ma si sa che lo sport è fatto di centimetri e millesimi e ottenere risultati non è mai scontato. Ci tengo però a rimarcare le indubbie capacità organizzative del Coni, che ha lavorato per cinque anni per far sì che tutti potessero presentarsi nelle migliori condizioni possibili.

Questo risultato è un punto di partenza o di arrivo?

Considerata la distanza che passa tra un’Olimpiade e l’altra, è difficile fare questi ragionamenti. Tutto dipende dalle singole federazioni, alcune credo debbano puntare a un cambiamento, ma fare un discorso globale non ha senso: ognuno si organizzerà al meglio e noi saremo al fianco di tutti.

Le critiche alla scherma non le sono parse esagerate?

Credo che loro come federazione dovrebbero fare qualche riflessione, visto che l’ultima volta in cui siamo tornati senza un oro era nel 1980. Probabilmente qualche ciclo si è concluso, ma ritengo eccessive le polemiche che ci sono state.

Anche gli sport di squadra non hanno brillato.

In effetti abbiamo faticato, devo dire che ci aspettavamo sicuramente di più dalla pallavolo e dalla pallanuoto. Il quarto di finale perso in rimonta contro l’Argentina dai nostri pallavolisti è stato emblematico, considerato che poi i sudamericani hanno vinto la medaglia di bronzo. A parziale scusante c’è da dire che per gli sport di squadra il torneo è veramente lungo e non è facile tenere sempre alta l’attenzione.

Possiamo considerare la doppietta della velocità come il risultato più sorprendente?

Direi di sì, visto che l’Italia non aveva mai vinto quelle gare. Attenzione, risultato sorprendente non vuol dire che non sia ampiamente meritato. In generale però allargherei il discorso anche a tutta l’atletica, che si è rivelata una sorpresa collettiva. Come dicevo prima, lo sport si decide a volte per cm e noi siamo stati bravi a non lasciare per strada quasi nulla.

La pandemia di Covid-19 ha cambiato molto le cose rispetto alle altre edizioni?

Sicuramente lo stare tutti segregati in una bolla ha modificato di molto la percezione degli atleti rispetto all’esperienza olimpica, e non per forza in senso negativo. Il fatto di essere tutti chiusi nel villaggio olimpico ha fatto sì che atleti di diverse discipline fraternizzassero molto più facilmente, creando belle sinergie. Ricordo per esempio l’entusiasmo di Danilo Gallinari e di altri cestisti, in piedi alle tre della mattina ad attendere l’arrivo di Jacobs e Tamberi dall’antidoping dopo che i due hanno vinto la medaglia d’oro.

Della sua carriera di atleta che ricordi ha?

Buoni ricordi, anche se col rammarico di aver raccolto meno di quello che avrei potuto. Ho ottenuto una sola medaglia olimpica e ben otto mondiali. A ventuno anni ero campione del mondo, se avessi vinto la medaglia ad Atlanta magari avrei smesso prima e non avrei proseguito fin oltre trent’anni, inseguendo la medaglia d’oro. In ogni caso sono contento del mio percorso e di dove mi ha portato.

Un percorso iniziato alla Moto Guzzi di Mandello.

Un luogo a cui sarò legato per sempre, partendo dall’allenatore Giuseppe Moioli e dai tanti con cui ho remato nel corso degli anni. Possiamo dire che la mia casa è divisa tra la Moto Guzzi e il Circolo Canottieri Aniene di Roma.

La sua è una rara storia di successo sia come atleta che come dirigente. Che consiglio darebbe a un ragazzo che inizia a fare sport?

Gli direi che, con fatica, si possono fare entrambe le cose: allenarsi e studiare, cercando di eccellere in entrambi i campi. Io mi sento un privilegiato perché sono riuscito a conciliare le mie passioni.

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