Nicolini e quel pallone per battere il Covid

Il racconto Tre anni fa, allo scoppiare della pandemia, Cecilia giocatrice della Tecnoteam, viveva a Codogno e giocava nella vicina Offanengo

Tre anni fa, allo scoppiare della pandemia di Covid-19, Cecilia Nicolini, giocatrice della Tecnoteam, viveva a Codogno e giocava nella vicina Offanengo, in serie B1. Una trentina i chilometri di distanza tra le due cittadine, una mezzoretta d’auto per arrivarci che l’aveva convinta a rimanere a casa sua e, dunque, a non trasferirsi nei pressi del campo d’allenamento.

Era il 21 febbraio 2020 e, mentre era in auto diretta agli allenamenti, uscì la notizia del cosiddetto “Paziente 1” scoperto proprio nel suo Comune. Arrivata a destinazione, l’invito – perentorio – a non entrare in palestra. «Fu uno choc: le mie compagne erano a fare il video per la gara della domenica e io mi misi fuori dalla porta ad ascoltare. Speravo che la cosa si risolvesse nel giro di qualche ora, qualche giorno al massimo. Da lì, invece, è iniziato il delirio», ricorda.

Nicolini, palleggiatrice classe 1994 con una certa esperienza alle spalle di serie A tra Crema, Montichiari, Pavia, Busto Arsizio e Talmassons, ripercorre con grande tristezza l’isolamento all’interno della zona rossa istituita subito dopo il citato primo caso.

«I nostri paesini – racconta oggi - erano bloccati e non riuscivo a capire perché le limitazioni riguardassero inizialmente soltanto noi e non altri. Ovviamente non ho potuto allenarmi in quelle settimane, non potevo avere contatti con le mie compagne e non potevo uscire da Codogno. Ricordo anche che un giorno ho chiesto a due di loro (Alice Giampietri e Noemi Porzio) di venire a portarmi un pallone per poter fare qualcosa a casa: ho una foto che mi ritrae lontana da loro con in mano il pallone che mi avevano passato dalla linea di stop. Si vede anche il camion dei militari che bloccava accessi e uscite da Codogno».

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