Brunner: «Il mio Dominissini?
L’impresa nella prima stagione»

Parla il portiere del Como del compianto allenatore

alex Brunner lavora all’Udinese. Per questo ha vissuto il dramma di Loris Dominissini in maniera, in un certo senso, più diretta: ogni giorno una voce, una testimonianza, una indiscrezione, i giornalisti che chiamavano. L’ex portiere del Como ha trascorso quattro anni in azzurro con il tecnico scomparso venerdì per le complicanze dal Covid, unito al mister anche un po’ dal filo della corregionalità.

La notizia non l’ha presa di sprovvista...

Da quando erano uscite le indiscrezioni sul suo stato di salute, a Udine c’era attenzione sulle sue condizioni. Abbiamo sperato che si riprendesse. Purtroppo non ce l’ha fatta.

Quattro anni con Loris Dominissini al Como.

E voglio subito dire una cosa. Per me la sua vera impresa, non sono state le annate vincenti, quelle del doppio salto dalla serie C alla serie A. Per me ha più valore quello che fece l’anno prima.

Perché?

Nessuno dei due allenatori che avevano guidato la squadra sino a lì, cioè De Vecchi prima e Marini poi, erano riusciti ad accendere la squadra. E, si badi bene, si trattava di due tecnici preparati, che in carriera avevano frequentato il grande calcio, e che avevano tra l’altro due idee diverse di impostazione. Come dire, si era provato in una maniera e nell’altra, ma niente.

E dunque?

Dunque era difficile. Invece lui, come un “clic”, arrivò e mise a posto le cose. Aveva osservato a lungo, essendo prima vice di De Vecchi e poi nello staff di Marini: e si era fatto una sua idea. Mise a posto un paio di cose, ma essenziali. Ricordo che la sua preoccupazione fu quella di sistemare la difesa, perché davanti c’erano comunque attaccanti bravi.

E la squadra si salvò.

Non è solo questione d salvezza. La squadra si sbloccò, pareggiammo con la Lucchese giocando molto bene, andammo a vincere a Pisa e se il campionato non fosse finito, quella squadra sarebbe arrivata ai playoff. E lui si guadagnò la riconferma, la riconferma in un progetto ambizioso come quello di quel Como.

Poi i successi.

Fu indubbiamente bravo, era uno molto preparato, molto diligente, molto rispettoso dei sacrifici. Con lui si lavorava seriamente.

Che ricordi ha nel cassetto?

Tanti. Uno, per spiegare la sua serietà sul lavoro: dopo la partita persa a Genova con la Sampdoria, con noi ormai già promossi in A matematicamente, alla penultima giornata, l’ho visto furibondo come non mai. Non accettava che ci fosse anche solo un minimo di rilassamento, fu una settimana dura,a dispetto del risultato già raggiunto e del clima di festa.

E chissà la domenica dopo, quando all’intervallo perdevate in casa con il Cittadella e Preziosi lasciò lo stadio polemico...

Mi dai l’assist per spiegare una importante caratteristica del mister: quella volta nello spogliatoio fu bravissimo. All’intervallo, invece che arrabbiarsi, ci diede una carezza, solo nel ricordarci chi eravamo, cosa avevamo fatto sin lì, e che non meritavamo di sporcare il finale con una simile prestazione. Fu leggero. Rientrammo in campo e raramente ho visto una squadra superiore a un’altra come la nostra in quel secondo tempo. Vincemmo. Questo per dire che era un fine psicologo, sapeva quando usare il bastone e quando la carota.

Rapporti personali? Vi aiutava l’essere tutti e due friulani?

Udinesi e triestini sono molto diversi. L’ho imparato a Udine, dove ho trovato gente sempre molto pacata, che non ama svolazzi o atteggiamenti, sta sempre sul pezzo a testa bassa. Dominissini era uno così. C’era stima tra di noi. Mi ricordo una volta...

Prego.

Giocavamo a Vicenza, in B: vincemmo e fu un successo importante sulla via della promozione. Ma ci fu un battibecco tra me e lui. Mi rimproverò in campo e la cosa andò avanti negli spogliatoi. Uno scontro duro, specie per due persone che si stimavano. Tutta la settimana successiva ci evitammo un po’, non ci parlammo. Poi, il sabato, in ritiro per la partita successiva, ero in camera come sempre con Spinelli sentii bussare alla porta: era lui. Mi disse: “Guarda Alex, nella vita si può anche avere delle discussioni, ma se c’è stima reciproca tutto si può sanare e non cambia niente”. Questo era il mister: andava al di là delle posizioni per mantenere rapporti umani.

Rideva poco.

A suo modo era sottilmente ironico. Mi ricordo le prese in giro, nello spogliatoio, quando faceva battute su un errore, magari mio, e noi gli rispondevamo “mister, guardi che grazie a noi sta per diventare un vincente”, e lui faceva quel sorrisino un po’ di traverso, un po’ di nascosto. Era arguto.

Vi incrociavate mai a Udine?

Lo incrociavo sui campi dei bambini, quando portavo mio figlio a giocare, perché si occupava di scuola calcio. Due parole e via.

Ma perché ha smesso così presto?

Non lo so. Però credo che fosse un po’ stanco, ha anche provato a ripartire dal basso ma quando hai fatto professionismo è difficile. Voleva dedicarsi alla famiglia, alle sue cose, niente di traumatico.

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