Addio a Mario Placidi:
l’americano di Como
che amava la musica

Cantante, musicista, autore e presenza fissa nelle notti “live” della città: si è spento a 71 anni dopo aver lottato contro la leucemia

Un grave lutto nel mondo della musica comasca. È scomparso Mario Placidi, cantante, musicista, autore, presenza fissa delle notti live lariane dove aveva portato una ventata di country e di blues, i grandi amori di una vita spesa, in larga parte, con una chitarra fra le dita, inseguendo un sogno americano che, prima di tanti altri, aveva coronato trasferendosi in quell’America «prima sognata e poi vista», per rubare un’espressione a Francesco Guccini.

Anche senza ascoltare una singola nota, Placidi colpiva subito per l’immagine: cappello da cowboy, un bel paio di baffi da ranchero che ben si sposavano con le giacche sfrangiate, le camicie e i pantaloni di jeans e gli stivaletti.

Non si trattava di un costume: Mario indossava tutto con estrema naturalezza, così come parlava con un sottile accento d’oltreoceano che gli era rimasto da quell’indimenticabile permanenza negli Usa, dove si era fatto onore calcando palchi molto severi con gli stranieri che arrivano a proporre la musica nata lì. Ma Placidi non si lasciava intimidire.

Originario di Foggia, vissuto a lungo a Como, ma c’è stata anche una lunga parentesi trevigiana senza contare i viaggi in tutta Europa, in Inghilterra, in Germania, in Olanda, sempre inseguendo la musica.

Ha fatto e disfatto mille formazioni, ma per le sue serate ideali la proposta era minimale: la sua voce, la sua chitarra e una batteria elettronica “ereditata” da uno dei suoi grandi miti, quel J.J. Cale che sapeva interpretare con grande trasporto, come accadeva con i Creedence di John Fogerty, con gli ZZ Top, di cui amava particolarmente le divagazioni tex-mex, naturalmente con i grandi della musica country, Johnny Cash in testa, senza contare i cantautori come Bob Dylan, James Taylor, Jackson Browne.

Una cultura musicale enciclopedica, che mal si sposava con il provincialismo italiano. Così quando venne messo sotto contratto dalla Numero 1 – etichetta fondata da Mogol che aveva la sua punta di diamante in Lucio Battisti – si ritrovò un nome d’arte, Ben Richardson, un singolo in inglese che non lo rappresentava - “Sky driver”, oggi una rarità per collezionisti – e una partecipazione al Festival di Castrocaro che fruttò comunque un’ottima seconda posizione.

Comunque, perché quel carrozzone mal si addiceva ai sogni musicali di Placidi, che ringraziò e se ne tornò a fare quello che voleva, magari con maggior successo, ma con tanta libertà. Quando voleva essere “commerciale” suonava con Kim & the Cadillacs, la formazione di revival rock’n’roll guidata dall’amico inglese Kim Brown, che aveva furoreggiato nei sixities con i Renegades, che comprendeva anche Trutz “Viking” Groth. Tornato a stabilirsi a Como, Placidi è diventata una presenza fissa: ha suonato praticamente in tutti i locali esistiti in città (oggi quasi tutti scomparsi), ma era una leggenda anche nel post serata, quando si spostava altrove per continuare a cantare, a suonare, a parlare di musica.

Lunedì, a 71 anni, ha perso la sua battaglia contro una forma leucemica che negli ultimi tempi lo aveva allontanato dalle scene.

Lascia una compagna con cui ha diviso i suoi anni più belli, un figlio che vive negli Usa e tanta, tanta “good time music” alle spalle.

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