Addio Mondonico
Guidò il Como in serie A
Leggi l’intervista a La Provincia

L’allenatore si è spento all’età di 71 anni. Fece grandi Torino e Atalanta e nella stagione 1986-87 portò gli azzurri al nono posto facendosi apprezzare per la qualità del gioco. L’intervista a La Provincia dello scorso novembre

Emiliano Mondonico si è spento all’alba a Milano, dove era ricoverato da alcuni giorni per il riacutizzarsi della malattia che lo tormentava da sette anni. 71 anni lo scorso 9 marzo, Mondonico resterà per sempre un simbolo del nostro calcio, amatissimo dagli sportivi.

Giocatore prima, grande mister dopo, esperto sportivo da sempre. In veste di allenatore ha ottenuto cinque promozioni in serie A con Cremonese (1983-1984), Atalanta (1987-1988 e 1994-1995), Torino (1998-1999), e Fiorentina (2003-2004).

Proprio sotto la sua guida l’Atalanta visse la più bella esperienza in Europa, la Coppa delle Coppe 1987/88: i nerazzurri si spinsero fino alle semifinali contro il Malines. Riportò anche il Torino in Europa e la Fiorentina in serie A. Nel 1986/87 allenò il Como in serie A raggiungendo una salvezza tranquilla con il nono posto e facendosi apprezzare per la qualità del gioco

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Lo scorso 25 novembre fu intervistato per La Provincia da Nicola Nenci.

Vi riproponiamo l’intervista integrale

Bisogna venire a Rivolta d’Adda per toccare con mano chi è oggi Emiliano Mondonico. Vederlo sul campo dell’oratorio, mentre allena un gruppo di alcolisti e tossicodipendenti. Oppure mentre organizza le prossime partite delle scuole medie: contro la Nazionale Amputati o quella dei Disabili. O ancora mentre passeggia in tuta per il paese, nel giorno di mercato e tutti, ma proprio tutti, lo salutano come fosse il parroco. Un uomo che ha deciso di guardare meno al calcio di lustrini e pajettes, e di aiutare il prossimo. «Faccio fatica a stare lontano da Rivolta più di una settimana. Il mio scudetto è aiutare i ragazzi e le persone problematiche attraverso il pallone. Nessuna partita di serie A mi ha dato la soddisfazione che provo adesso»

Vogliamo parlare un po’ del suo Como? Lo sa che è sul podio dei migliori del dopoguerra?

Una bella esperienza. Breve. Interrotta troppo presto, forse, per come stavano andando le cose. Ma la prima cosa che ricordo è la sintonia immediata, naturale, con la piazza e la tifoseria.

Per forza, andavate così bene...

Dopo 11 giornate eravamo secondi in classifica. Venivo dalla Cremonese, e non era facile perché sostituivo uno come Marchesi andato alla Juve e che aveva fatto molto bene. Io, poi, avevo appena iniziato.

A un certo punto si parlò di Europa.

(sorride furbo con la sua immutata espressione da D’Artagnan, ndr) I tifosi cantavano “Vinceremo il tricolor”. Solo che poi andammo a Verona. E Bruno che ti combina? Un rigore inutile su Fanna, sulla linea laterale dell’area, con azione ormai morta. Me lo sarei mangiato.

Già, Bruno. Uno dei suoi fedelissimi. Lo ebbe anche al Torino...

Un finto duro. Lui tirava la scarpata subito per far girare l’avversario alla larga. Ma se l’altro reagiva, allora cominciava ad abbassare le orecchie. Aveva soggezione di un tipo come Fusi, ad esempio, che era piccolino, ma non indietreggiava di un millimetro. O’ Animale... Arrivò al Toro dalla Juventus e fu costretto dai tifosi a bruciare una maglia bianconera. Ma poi andava in sede della Juve a chiedere i biglietti, eh eh...

Torniamo al Como.

A un certo punto non fu facile. Avevo fuori tutti gli attaccanti. Borgonovo con il ginocchio gonfio, Corneliusson con un tendine ko e Didonè... Beh, a Didonè invece che togliere un menisco, glielo incollarono. Lo provai in una amichevole a Busto: finché andava dritto ok, alla prima torsione saltò tutto...

E allora?

Allora avevo Simone, che era un bel talento. Ma a San Siro, con il Milan, mi inventai la coppia Mazzucato-Guerrini. Oh, Guerrini era lo stopper, alto due metri. Baresi se lo trovò lì e disse: ma tu non fai il difensore? Che fai qui? La tattica era: palla a Guerrini lunga, e tutti a salire. Facemmo 0-0 a San Siro.

Come giocava il suo Como?

Mah, niente moduli fissi. Il libero dietro era Albiero, zona mista...

A destra c’era Mattei, che chiamavano Cavallo Pazzo.

Ci andavo molto d’accordo. Come sono sempre andato d’accordo con quelli un po’ fantasiosi, un po’ estrosi. Lentini, ad esempio, era mio fratello minore, avevamo un grande rapporto. Uno che prima di Ajax-Torino era allo specchio farsi la piega con il phon, tanto per dire. Ma io ero così da giocatore e sapevo come prenderli.

Mattei, dunque?

Veniva da me e mi diceva: mister ho un dolorino. E io: Cosa hai fatto stanotte? Và che ne ho fatte più io di te... E si metteva a correre.

E Borgonovo?

Ah, Borgonovo era un grande talento. Il “centravanti”. Ma mi colpiva perché faceva tutto con una positività di spirito che aiutava tutti e smussava gli angoli.

Apriamo il capitolo delle bisce? Il suo divorzio cominciò con quella frase sulle bisce d’acqua rivolta ai dirigenti del Como. Conferma?

Diciamo che tutto cominciò un po’ prima. Il fatto è che i dirigenti del Como erano convinti che il valore fossero loro e non l’allenatore. Per loro non importava chi allenasse. Tanto l’impianto era solido. Ovvio che per un allenatore era una situazione spiacevole.

Dunque?

Dunque mi tenevano sulla graticola, senza mai dire nulla sul rinnovo. Io, allora, parlai con l’Atalanta, pur senza firmare. Mi avesse confermato il Como, sarei rimasto.

Ma poi arrivarono le bisce...

Alla Domenica Sportiva, un giornalista mi chiese se a Como ci fossero serpenti velenosi. E io risposi che venivo da Rivolta d’Adda, a casa mia al limite c’erano le bisce d’acqua, e bastava battere il piede per terra per farle scappare. Apriti cielo...

Che accadde?

La settimana dopo a Orsenigo, una persona della società mi disse che mi doveva parlare. Io lasciai il campo come una furia correndo su per le scale della palazzina, urlando che ero io che dovevo dire due parole. Uno scontro duro. Fu la fine. Ma mi pentii dei toni.

Quella persona era il ds Vitali?

Oggi non ha senso fare nomi e cognomi. Finì lì e fu un peccato. La gente non la prese bene.

Infatti fu un finale di campionato burrascoso.

All’ultima partita contestavano. I dirigenti vennero da me e mi dissero: non si preoccupi, siamo qui a difenderla noi. E io risposi: forse è il caso che vi difendiate da soli, ce l’hanno con voi, mica con me...

Davvero il grande calcio non le manca?

Forse mi ha cambiato la malattia, non so. Ma ho capito che le priorità sono altre. Ho vissuto i giovani da allenatore anche delle giovanili, e oggi posso dire che siamo di fronte a una generazione problematica, che va aiutata. Porto a giocare le scuole medie contro persone che hanno avuto problemi e fanno fatica a uscirne, perché capiscano cosa può fare un errore. Spiegarlo tra le quattro mura di un’aula non è la stessa cosa.

E l’opinionista alla Domenica Sportiva?

Con i controlli per la mia malattia, non posso impegnarmi in cose annuali. Ho preferito non essere un problema. Ma vado in tv locali, parlare di calcio è sempre bello.

E allora, già che c’è, ci dica qualcosa della Nazionale? (Non è una domanda originale: nel senso che tutti quelli che lo incrociano in paese gli chiedono degli azzurri)

Io la vedo così: siamo riusciti a farci fregare sul nostro terreno. Sul catenaccio. Dobbiamo essere più rispettosi delle nostre tradizioni e non inventarci quello che non siamo. Lo sa che all’estero il libero lo hanno sempre chiamato così, con termine italiano? Un marchio di fabbrica. E invece siamo riusciti a esaltare il catenaccio della Svezia.

E Ventura? E Insigne?

Su certe esclusioni bisognerebbe essere dentro, per capire come maturano. Dico solo che Ventura ha sbagliato quella volta a dire che la Spagna ce la saremmo fumata. Perché se metti troppe aspettative, poi finisci per creare delusioni. Era meglio il basso profilo.

Come fa uno di Rivolta d’Adda a essere tifoso della Fiorentina?

Perché all’oratorio tutti avevano le maglie di Inter, Milan e Juve mentre io giocavo con una felpa viola smunta e mi affezionai alla squadra che portava quei colori. Quando andai ad allenare a Firenze, Della Valle mi diede di gomito: lei è furbo, mi disse, perché ora tira fuori che è tifoso della Fiorentina. E io mostrai la tessera di un Viola Club fatta nel 1997.

E la sedia di Amsterdam diventata un mito per i tifosi granata?

Merito, o colpa, dei lavori: stavano rifacendo lo stadio, e non c’erano le panchine. Eravamo seduti sulle sedie.. Però, cavolo, era rigore eh..

Prossimi impegni?

Vado da Malagò perché è piaciuto il mio progetto nelle scuole. È questa la mia Coppa dei Campioni.

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