Altro show in aula del killer
«Don Roberto? Non so chi sia»

Mahmoudi finge di non ricordare il delitto, ma si dimostra lucido e preciso su tutto il resto

Gioca la carta della smemorato, Ridha Mahmoudi: «L’omicidio? Non ricordo». Quindi indossa la maschera del bugiardo: don Malgesini? «Mai conosciuto». E pure quella dello spergiuro: «La confessione alla polizia? Mai uscite quelle parole dalla mia bocca». Forse prova anche a fare il matto: «Hanno studiato un piano per ammazzarmi. Chi? L’ex prefetto... tutti». Di sicuro fatica a celare l’odio che l’ha armato il 15 settembre dello scorso anno: don Roberto «non credo certo si trovi in Paradiso. Perché? Era un peccatore». Ma dopo aver giocato tutti i ruoli possibili e immaginabili nel suo personalissimo show, messo in scena davanti alla corte d’Assise un po’ per rendersi protagonista e, magari, pure per farsi passare per una persona instabile, il killer si getta nella rete tesa dal pubblico ministero Massimo Astori, che con studiata pazienza e astuzia trova il passepartout per far breccia nell’imputato e fargli scrivere la sua condanna verso il carcere a vita.

Botta e risposta

Perché in quell’ora di botta e risposta con l’accusa, il killer di don Roberto Malgesini svela chiaramente il movente («lui - don Roberto ndr - ha preso il mio fascicolo ed è andato a cercare un medico legale» e così facendo «ha complottato con tutti gli altri per mandarmi via dall’Italia»), ha smontato l’idea che potesse essere incapace di intendere e di volere (essere un assassino spietato e ossessionato dal fatto che tutto gli sia dovuto non è sinonimo di follia) mostrando una lucidità e una puntualità nelle risposte ben lontana da chi è affetto da patologie psichiatriche, e ha pure indirettamente confermato di aver premeditato il tutto («Mi hanno tradito... e se hai sbagliato devi pagare»).

I primi minuti dopo essersi seduto sul banco di fronte ai giudici popolari, sono i più tesi. Quelli più complicati. Il pubblico ministero prova a ripercorrere le domande dell’interrogatorio reso poche ore dopo il delitto: «Lei quando ha pensato di uccidere don Roberto?». «Loro hanno pensato di ammazzarlo». «Lei, davanti a me in Questura, ha detto che i giorni prima dell’omicidio ha girato armato con il coltello attorno al tribunale per cercare il suo avvocato, Rusconi, e ucciderlo. Ricorda?». «Queste parole non sono mai uscite dalla mia bocca». «Lei i giorni precedenti il delitto aveva incontrato don Roberto?». «Io non l’ho mai conosciuto, quel cane». «Lei sa dov’è la chiesa di San Rocco?». «No». Una recita condita con il solito refrain sulla sola cosa di cui il killer è interessato a discutere: «C’era un complotto contro di me per mandarmi via dall’Italia. Io mi sono ammalato qua... e non può una persona che si ammala qua poi essere cacciata come un cane».

Lucido e preciso

Il presidente della corte, di fronte alla difficoltà di arginare Mahmoudi, è tentata di interrompere l’interrogatorio. Ma è a questo punto che il pubblico ministero trova la chiave di volta: farlo parlare di se stesso. E l’egocentrico Mahmoudi, ci casca. «Che lavori ha fatto qui in Italia?». «Ho fatto di tutto: il meccanico, ho zappato la terra». «Quando è arrivato?». «Il 19 settembre 1992, era un sabato... sono arrivato a Palermo in aereo». «Com’è cominciata la sua malattia agli occhi?». «Lavoravo in una cava, era il 1998, sono andato un pomeriggio dal medico, mi ha portato il titolare e il medico ha detto: “devi farlo riposare”. Mi hanno operato nel 2000. Poi ho scelto Como, per il tempo perché non c’era tanto sole». «E ha lavorato a Como?».

Mahmoudi parla, risponde alle domande, dimentica l’aria di sfida dell’inizio dell’interrogatorio, il toro furioso di pochi minuti prima diventa un innocuo vitellino. Ed elenca fatti, date, episodi, circostanze. Lucido. Anche di più. Racconta di come ottiene l’invalidità al 60%. Ammette: «Qui in Italia non rimani mai senza mangiare». E anche che «la Chiesa mi ha aiutato. In tanti mi hanno aiutato». Per non parlare dei comaschi: «Non mi hanno fatto mancare nulla».

Con pazienza il pm Astori lo riporta ai primi arresti, al divorzio e ai primi problemi con il suo permesso di soggiorno. Mahmoudi cambia tono: «Mi hanno tradito». «Chi l’ha tradita?». L’avvocatessa di Erba. L’avvocato di Como. L’avvocato Rusconi. Maria... Lisa...». Il killer sciorina i nomi della sua personalissima lista di odio: «L’ex prefetto ha complottato contro di me. Hanno pagato i clandestini per mentire su di me. Mi hanno seguito». E si ritorna, ovviamente, a don Malgesini.

Per un attimo Mahmoudi dimentica di aver negato di conoscerlo solo pochi minuti prima, anche se si rifiuta perfino di pronunciare il suo nome: «Mi ha ingannato. È il giudice che deve nominare il medico legale, come si permette di toccare lui un fascicolo... di andare a cercare il medico legale...». Il pubblico ministero prova a fare sintesi: «Ma cosa le ha fatto di così terribile?». «Mi ha tradito». «Ma lei ce l’aveva con lui perché non l’ha aiutato abbastanza nel far annullare le espulsioni a suo carico?». «No comment». «Ma quando si è sentito tradito da don Malgesini?». «Io non l’ho mai conosciuto... ha ingannato davanti al Signore... è un peccatore». «Si riferisce a don Malgesini?». «Quello che hanno ammazzato...». «Si riferisce a lui?». «No comment... non può una storia finire così».

Quando è il turno della difesa, non c’è più molto da dire. L’avvocato Sonia Bova prova a fargli raccontare il giorno del delitto: «Il 15 settembre? Mi sono svegliato verso le 5, sono andato ad allenarmi lungo il lago. Dopo sono andato...». «Dove?». «Non lo so, non mi ricordo». Poi sussurra: «Se hai tradito le leggi devi pagare... non credo si trovi in Paradiso... perché è un peccatore». L’avvocato prova a insistere: «Ma ha saputo che don Roberto è morto?». «No, non l’ho mai saputo». Fine. Gli agenti lo riportano in gabbia. L’aula resta in silenzio. Ci si ritrova tutti il 28 ottobre prossimo. Per le conclusioni. E per una sentenza già scritta. Dallo stesso assassino di don Roberto.

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