Cinghiate e botte in famiglia
Il figlio chiama il Telefono Azzurro

Tre bambini allontanati dalla polizia

Vedeva le altre famiglie che si sostenevano e «si volevano bene», mentre nella sua regnava un regime improntato sulla paura e sulle punizioni fisiche per chi sgarrava. Botte per un 6 preso a scuola, voto che i genitori pretendevano più alto, botte e anche cinghiate se le scarpe non erano al loro posto, ma anche per altri futili motivi.

Almeno due o tre volte alla settimana, in quella casa della città, volavano pugni e sberle, ma anche colpi portati con la cintura, senza mirare ad un punto specifico, perché «dove arrivava, arrivava».

Una violenza all’ordine del giorno che ha portato un giovane di 14 anni, con grande coraggio, a impugnare il cellulare e a chiamare il telefono azzurro (era l’8 dicembre 2021) dopo che aveva iniziato ad aprirsi con in insegnante e il preside della sua scuola, e pure con due suoi amici e la mamma di uno di loro. Insomma, questa storia fatta di botte a quattro bambini di 14, 11, 8 e 3 anni e finita prima sul tavolo della squadra Mobile di Como, poi su quello del pubblico ministero Antonia Pavan.

Allontanati da casa

Il magistrato nelle scorse ore ha chiesto al giudice delle indagini preliminari la misura cautelare dell’allontanamento dei genitori dalla casa di famiglia, provvedimento che è stato accolto ed eseguito. Un padre di 50 anni e una madre di 37, entrambi originari del Marocco, sono così stati allontanati dai loro figli portati in una struttura protetta. L’interrogatorio c’è già stato. Sarebbero emersi, di fronte al giudice, comportamenti frutto di una visione educativa estrema, con le botte considerate come un metodo di insegnamento.

I genitori sono tornati nella casa di famiglia, ma i bambini rimangono divisi da papà e mamma in attesa che l’indagine faccia il suo corso. L’ipotesi di reato è quella di maltrattamenti in famiglia. La squadra Mobile, dal momento della chiamata fatta dal ragazzo più grande a Telefono Azzurro, aveva iniziato ad indagare su quanto avveniva in quella casa della città. Sarebbero già stati sentiti l’insegnante di liceo che per prima aveva raccolto la confessione del quattordicenne, poi anche il preside, una psicologa e pure la mamma di una amica del ragazzo che aveva raccolto pure lei il racconto fatto dal giovane. Tutti elementi confluiti nel fascicolo della procura, al pari di un video ripreso per caso da alcuni amici che erano collegati con il quattordicenne tramite pc, e che videro il padre con la cintura fare irruzione in cameretta costringendo il figlio a pro teggersi alzando le braccia.

L’interrogatorio

Le botte in famiglia non avrebbero coinvolto solo il più grande dei fratelli, ma anche i più piccoli. In una occasione, il quattordicenne avrebbe raccontato di essere intervenuto in difesa dei fratelli, chiedendo spiegazione ai genitori di quei comportamenti e ricevendo in risposta la sua razione di calci e pugni. Nel corso dell’interrogatorio, sarebbe emerso un quadro famigliare comunque normale, con i genitori lavoratori e rispettosi, ma con l’abitudine all’utilizzo della forza e della violenza come metodo di correzione. Tra i motivi dell’allontanamento dai figli c’era ovviamente il pericolo di reiterazione del reato, ma anche il rischio di inquinamento probatorio.

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