Como: disastro Ats, non risponde
nemmeno ai suoi medici

Lo sfogo di una dottoressa: «Esami e prenotazioni, tutto in tilt, garantite solo urgenze e ricette brevi»

Como

L’ultimo baluardo della sanità, quello più vicino ai cittadini, sono i medici di famiglia. Una categoria schiacciata dalla pandemia e quasi sempre lasciata sola, almeno negli ultimi mesi. «Siamo ancora sommersi dalle richieste dei tamponi – racconta Raffaella Petruni, medico di famiglia in città -. Anche se a volte gli assistiti li chiedono non per sintomi verosimili, ma soltanto per riniti o malessere. Alcuni, prenotato l’appuntamento, finiscono per andarci quando già sono guariti. I tamponi che facciamo noi invece, per sospetti concreti, danno un esito positivo in circa il 30% dei casi. Una percentuale ancora abbastanza alta. Molte famiglie si rivolgono ai privati. Non aspettano l’Ats. Tempi, prenotazioni, comunicazioni, sono ancora difficoltose. Alcuni pagano per esigenze lavorative, può starci, e spesso siamo noi medici i primi a consigliarlo. Altri invece si fanno prendere dalla paura e non comprendono le responsabilità che derivano in caso di positività».

Mancanza di comunicazione

Alcuni enti privati - ce ne sono tanti poco noti e sorti appositamente per rispondere alle esigenze del mercato - non comunicano gli esiti alle autorità sanitarie. Così dicono i dottori. In questo modo è complicato far scattare le quarantene, i tracciamenti, chiedere i tamponi. «Ats continua a non essere rintracciabile - prosegue Petruni -, non riusciamo a parlarci noi e nemmeno i cittadini. È una realtà latitante. Sempre più enti sanitari del resto hanno segreterie e messaggi registrati».

E così i medici finiscono a fare anche i centralinisti, cercano di rispondere ai dubbi, alle domande, alle paure degli assistiti anche su questioni che non competono loro.

«Adesso gli ospedali pubblici garantiscono solo le urgenze e le ricette brevi, i pazienti ci chiedono di programmare nuovi controlli il prossimo anno, ma non sappiamo quando le prestazioni verranno ripristinate. Scompensati, anziani con il mal di schiena, giovani che si rompono un osso o un tendine. Sono tutti problemi reali congelati. In alcuni casi bloccare i controlli è rischioso, potremmo in futuro pagarne le conseguenze - dice ancora la dottoressa -. Ho pazienti che dovevano fare esami a settembre e ancora non li hanno potuti fare. Anche per gli appuntamenti del sangue, perfino dai privati adesso bisogna prendere l’appuntamento. È dura, gli anemici non possono aspettare un mese».

Quante porte chiuse

I tempi si allungano, le code aumentano, recuperare il terreno perduto sarà difficile. Mancano dottori in tanti distretti e in tanti paesi. Dottori a cui si chiede di fare diagnosi, test rapidi e ai quali si chiede l’ambitissimo vaccino antinfluenzale. «Ci tempestano di chiamate – conclude la dottoressa Petruni – Segnalo che per fare le sedute con tanti pazienti il Comune ha messo a disposizione le circoscrizioni nei quartieri esterni, irraggiungibili per i tanti anziani. Noi medici in centro abbiamo provato a chiedere alla caserma De Cristoforis, ma non siamo stati ascoltati. Le parrocchie ci hanno teso una mano, ma solo all’aperto. Certo, potevamo essere aiutati un po’ di più».
S. Bac.

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