Como: una baraccopoli
dietro la stazione

Il reportage. L’ex scalo merci trasformato in una sorta di accampamento abitato stabilmente da decine di fantasmi. Sono immigrati provenienti dall’Oriente. C’è chi offre da “sniffare” e chi cerca di costruirsi una nuova vita

In fondo al parcheggio a pagamento della stazione di San Giovanni è cresciuta una baraccopoli. Ci dormono una ventina di persone circa, anche se molte sono di passaggio, e finiscono per spostarsi rapidamente. Alcune di loro, però, hanno costruito vere abitazioni. Tende, ma anche casupole di lamiera.

Dentro all’ex scalo merci, il grande edificio in cemento andato a fuoco anni addietro, si accumulano sacchi e cartoni. Subito fuori c’è una stamberga a cui lavora ricurvo con martello e chiodi un signore di mezza età. Sui lati della costruzione ci sono altre tende montate con teli di plastica e fili. Fa capolino una donna giovane con in testa un velo, alla sua sottana è attaccato un bambino. Dove la boscaglia si fa più fitta, si notano altri alloggi di fortuna. Addentrarsi di giorno non è difficile, reti e cancelli sono aperti, ci sono lavori in corso. Una vecchia palazzina per gli studenti abbattuta, c’è molto passaggio.

All’ora di pranzo l’accampamento è tutt’altro che agitato, è silenzioso. C’è più movimento la sera e la notte, quando i senzatetto hanno bisogno di un rifugio, di un posto dove dormire.

C’è chi vende droga

Il primo a farsi incontro è un ragazzino con il viso scavato e gli occhi furbi. Si tocca con insistenza il naso alzando il mento verso il nuovo arrivato. Chiede a gesti se può interessare qualcosa da sniffare. Nel frattempo sfilano verso l’ex scalo merci due persone ben vestite con lo zaino in spalla, si direbbe provenienti dall’Asia meridionale. Da dietro un cumulo di pietre, sbucano invece due giovani che si riparano dalla pioggia con due grandi cellophane trasparenti. Dall’interno della costruzione in cemento grezzo esce un altro ragazzo, sui diciotto anni, la faccia pulita. Racconta di essere finito qui poco tempo fa, quando è mancato il padre. La madre non c’è da tanto tempo.

L’ex studente

Dice di essere un ex studente del liceo Volta, italiano, ma di origini arabe. Chissà. È convinto che l’unica possibilità che gli rimane per rifarsi una vita sia finire gli studi, arrivare almeno al diploma. Per questo, racconta, si è iscritto ad una scuola serale in città. È lui a spiegare che all’ex scalo merci vanno e vengono una ventina di persone per passare la notte. Alle volte di più, altre meno. Alcuni come lui sono più stanziali, ma c’è anche chi passa e va.

È da anni che dietro a San Giovanni ci sono i senza fissa dimora. Durante l’emergenza migranti di quattro anni fa erano parecchie decine. Ora meno, ma le tende tolte e rimesse resistono.

Qui abita una fetta di marginalità diversa da quella che vive a San Francesco. La provenienza, a giudicare dai tratti somatici, non è, come sotto ai portici, nord e centro africana. O come in San Rocco, la parrocchia orfana di don Roberto, dove ancora ieri si vedeva qualche ragazzo di colore seduto in piazza. Pakistan, Bangladesh, India, questi sembrano piuttosto essere i paesi d’origine.

Sotto i portici del liceo Volta, invece, ci sono persone italianissime, in età da pensione. Una coppia fissa sotto al Pirellino è di nuovo italiana, come altri sbandati che frequentano la sera il Broletto o i dintorni del Comune. Viale Varese è più terra di migranti, anche alla caserme per la colazione si vedono persone arrivate da lontano. La situazione, nota a chi lavora per aiutare l’emarginazione, è conosciuta anche all’amministrazione comunale. Se n’è parlato mercoledì sera in consiglio comunale, anche con toni aspri. Ma dopo anni di dibattiti e contese la ferita continua a sanguinare. (Sergio Baccilieri)

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