Contagi record sul confine
«Tanti frontalieri malati»

La denuncia del sindacato: «Di là ci sono poche regole». La provocazione della Lega dei Ticinesi: «Accuse? Il primo focolaio è stato in Italia»

Il virus non conosce confini o frontiere, ma a creare parecchia apprensione a cavallo tra la nostra provincia e il Ticino è il fatto che da una paio di settimane a questa parte si sta assistendo ad un rapido aumento di contagi tra i frontalieri, con i sindacati ticinesi che in almeno un paio di occasioni hanno lamentato l’assenza di tracciamento dei casi positivi e dei contatti tra realtà confinanti.

La Svizzera tra i più colpiti

«La Svizzera è uno degli Stati più colpiti al mondo dal Covid-19, secondo in Europa dopo la Repubblica Ceca. Nella Confederazione il 27,9% dei tamponi esaminati è positivo, con il virus ormai fuori controllo. È chiaro che in un contesto del genere i frontalieri si espongono fortemente al rischio del contagio - sottolinea Andrea Puglia, responsabile frontalieri del sindacato ticinese Ocst -. Questo ha contribuito a spingere verso l’alto il tasso contagi nelle province di Como e di Varese, dove vivono migliaia di frontalieri». Ma c’è un punto che Puglia mette in risalto, con grande vigore: «Venendo in Ticino e in Svizzera a lavorare, il frontaliere deve adeguarsi a quelle che sono le misure di contenimento del virus, che - non lo scopriamo certo oggi - sono sempre state meno severe di quelle adottate dall’Italia e da altri Stati europei. Sino a poco tempo fa, la mascherina non era obbligatoria nemmeno in presenza di assembramenti. E anche nelle aziende bastava che fosse rispettata la distanza interpersonale tra i lavoratori per far cadere l’obbligatorietà della mascherina. I frontalieri non hanno potuto far altro che adeguarsi a queste misure».

Già nella prima ondata di contagi, all’aumento dei casi nelle province di confine - molto meno marcato rispetto a quello delle ultime settimane - aveva fatto da cassa di risonanza un aumento dei contagi anche in Ticino e un discorso analogo vale per il decremento dei casi. Già mercoledì sera, il sindaco di Lavena Ponte Tresa nonché presidente dell’Associazione Comuni di Frontiera, Massimo Mastromarino, aveva fatto notare che «il 40% dei nuclei familiari presenti sul nostro territorio comunale sono positivi al Covid-19 vede la presenza di un frontaliere. Difficile ricostruire le dinamiche dei contagi, anche se la sensazione è che una parte importante di questi frontalieri abbia contratto il Covid in Ticino».

Polemiche tra Ocst e Lega

Ieri, a metà, pomeriggio, il sindacato Ocst, in una dura nota, ha lanciato un “j’accuse” di questo tenore: «Ci sono pervenute numerose chiamate di dipendenti costretti a tornare al lavoro anche se positivi o in quarantena. Qualsiasi licenziamento di questo tipo è da considerarsi abusivo». Si tratta di un discorso a carattere generale, che riguarda tutti i lavoratori, frontalieri inclusi.«Se c’è un momento in cui è opportuno rifiutarsi di dare il proprio benestare a regole assurde, il momento citato poc’anzi è questo”», sottolinea ancora l’Ocst.

Il tema è di stretta attualità. Nel tardo pomeriggio è arrivata anche la replica della Lega dei Ticinesi, partito dai chiari connotati anti-frontalieri: «I frontalieri sarebbero stati un vettore rilevante dei contagi per colpa di protocolli svizzeri troppo molli. Chi sostiene questo concetto dimentica che il primo focolaio della pandemia è partito dall’Italia».

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