«Dico grazie alle Cure palliative: il Valduce non fermi il servizio»

L’intervento Patrizia Maesani racconta la sua esperienza con il servizio di cure palliative domiciliari che ha assistito la madre in punto di morte

«Mia madre è morta nel suo letto, con la sua amata musica classica e con le mie letture. Se tutto ciò è potuto accadere lo devo all’assistenza del reparto di Cure palliative domiciliari del Valduce». Patrizia Maesani, già assessore e consigliera comunale, è restia a raccontare sé stessa e i suoi cari in pubblico. Ma se, questa volta, ha deciso di farlo è per cercare di salvare un servizio che - a detta dei vertici dell’ospedale di via Dante - non avrebbe «persone da assistere a domicilio», e che quindi si è deciso di chiudere.

«Ma così facendo - dice Maesani - ogni giorno la nostra città perde un mattone indispensabile. E io ho visto con i miei occhi quanto sia indispensabile il servizio del reparto di Cure palliative».

Un inteso, doloroso cammino: «con mia madre l’ho percorso dall’inizio alla fine»

Luisa Ottolini, la madre, si è spenta per colpa di un cancro: «Terzani lo chiamava l’amico, la Fallaci l’alieno, io l’ho battezzato il meteorite. Il cancro non mi ha colpito direttamente ma si è accanito su mia madre. Ho condiviso con lei, dall’inizio alla fine, questo intenso, doloroso cammino». Un cammino che ha portato madre e figlia a incrociare la loro strada con «le splendide donne, motivatissime e umane», del reparto di Cure palliative del Valduce.

La decisione dell’ospedale Valduce di chiudere il reparto

«Mia madre è morta con dignità, ed era il suo più grande ultimo desiderio - prosegue - Accompagnare alla morte un tuo caro è cosa giusta ma dannatamente difficile. Non sei preparato, non c’è il manuale di istruzioni. Senza le donne ed uomini tutti del reparto di Cure palliative domiciliari di Valduce non sarei riuscita ad esaudire questo ultimo desiderio. La morfina da sola non basta, l’empatia degli esseri umani è essenziale in questi appuntamenti della vita». Eppure, nonostante tanta professionalità e tanto bisogno (ancorché sul territorio vi siano altri splendidi esempi di meravigliosa umanità) l’ospedale ha deciso di chiudere il reparto: «Ho saputo di questa notizia con tristezza. E per questo, vincendo la mia proverbiale ritrosia a raccontare dei fatti miei, mi sono detta che forse era il caso di condividere questa pagina personale della mia vita anche per porre un interrogativo collettivo. No, non la solita polemica da ombrellone, vorrei porre un garbato ma fermo interrogativo collettivo. Premesso che comprendo le difficoltà economiche a cui tutte le strutture sanitarie sono sottoposte, vi chiedo se la città sia ben conscia che perdere questo servizio vuol dire scrivere un’ennesima brutta pagina».

L’importanza di tutelare i malati terminali

Si coglie l’amarezza nelle parole di Patria Maesani: «Siamo la città che nei giorni scorsi è balzata positivamente agli onori delle cronache per la resilienza economica dovuta al florido settore del turismo. Ebbene, questa città, a mio modesto avviso, non può essere privata anche di questa meravigliosa équipe. Mi si dirà, ci sono realtà simili che operano sul territorio. Lo so, le conosco e posso dire che sono eccellenze sanitarie. Ma, perché nella vita c’è sempre un ma, i malati di cancro non diminuiscono e, purtroppo, i passi da gigante della scienza non sono infiniti. La tutela dell’essere umano è spesso concentrata sulla parte iniziale della nostra vita, ma un malato terminale è un essere umano che merita altrettanta tutela e cura. Non è un oggetto a scadenza. Garantire la dignità del malato sino alla morte non può prescindere dal permanere di certe realtà sul territorio. Ne va della dignità non solo dei malati ma di un’intera comunità. Non priviamoci, per l’ennesima volta, di una bella pagina di Como».

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