Don Davide Milani: «Non esiste scarto dentro le comunità»

Giovedì A Lecco “Le primavere” e il “Cortile dei gentili”. «L’uomo deve pensarsi all’interno del suo contesto, nei confronti del quale ha una responsabilità integrale»

Wasteocene, “l’era degli scarti”. È il tema che sarà al centro del primo degli incontri della stagione 2023 de “Le Primavere” e del “Cortile dei gentili”, evento organizzato da La Provincia e dal Pontificio Consiglio per la cultura che il 18 e 19 maggio fra Como e Lecco interpellerà un ricchissimo panel di esperti sul tema “L’era dello scarto. Guida teorica e pratica per uscirne”.

Il primo appuntamento - giovedì 18 maggio dalle 9.30 alle 13 al Polo di Lecco del Politecnico di Milano, in via Previati 1/C - è appunto con “Cronache dal wasteocene”: termine coniato dallo storico Marco Armiero per indicare l’epoca in cui viviamo, all’insegna di una “continua produzione di persone, comunità e luoghi di scarto”.

Lo scarto. Il rimosso, direbbe Freud. Nella “Psicopatologia della vita quotidiana” individuava una serie di tic involontari, i famosi lapsus: “scarti” del comportamento attraverso cui però si manifesta l’inconscio, e che quindi sarebbero rivelatori, racconterebbero chi siamo veramente.

È dunque ciò che buttiamo via, ciò che emarginiamo o escludiamo che ci qualifica? «Lo scarto non dovrebbe esistere», risponde monsignor Davide Milani, che sarà fra i relatori dell’incontro di giovedì a Lecco. «Gesù nel Vangelo parla del rapporto che lega le persone a Dio, “o stiamo uniti a lui o siamo come tralci da scartare e buttare nel fuoco”, dice. Tutto ciò che non è pensato dentro un legame di comunità diventa scarto. Vale per le cose ma anche per le persone. Il tema è la destinazione: quando un bene o una persona è in una comunità non diventerà mai scarto».

Qual è «il valore nascosto dell’umanità» cui farà riferimento nel suo intervento?

Il valore nascosto dell’umanità è l’umanità. Spesso parlando di “salvaguardia dell’ambiente e della natura” ci si dimentica che al centro del Creato c’è l’uomo. È un dato da affermare. Facendolo, affermiamo anche il problema che questa centralità dell’uomo rappresenta, e che ha contribuito a creare le condizioni che portano, secondo la teoria del wasteocene, a una società di rifiuti, di scarti, dell’inquinamento. Una società insostenibile. L’uomo però non può pensarsi senza il contesto in cui è inserito, verso cui ha una responsabilità integrale.

Nel concetto di wasteocene entrano temi come la crisi climatica, le disuguaglianze, l’esclusione sociale come questione di classe evidente. C’è una critica evidente al capitalismo e alla logica del profitto a ogni costo. Ne ha parlato Bergoglio stesso. Tuttavia, la “lotta” sembra mancare. Quando c’è, è criminalizzata. Che ne pensa?

Penso che non esistano contrapposizioni che non lascino sul campo altri danni, altre scorie. Quello che deve accadere è una conversione, e questa nasce quando si vede il bene più grande che si sta perdendo. Più che il tema della lotta e di un impegno etico personale, ciò che serve è un cambiamento degli stili di vita, dei rapporti con gli altri e con il creato. E accade solo se vediamo un bene più grande. Serve un modo diverso di impostare le relazioni con gli altri, con le cose, con la natura.

Crede sia un processo in atto nel nostro Paese?

I giovani ce lo stanno testimoniando, con forme a volte anche discutibili, penso a Ultima Generazione. Il rischio che corrono i cosiddetti adulti è di nascondersi dietro ai problemi di forma per evitare di accogliere la provocazione, dimenticando il punto di partenza che va preso seriamente in considerazione. Poi la stragrande maggioranza dei giovani pone le questioni in maniera corretta, giocando il proprio tempo e la propria vita.

Crede che il cinema italiano oggi stia riuscendo nell’obiettivo di raccontare le sfide e le contraddizioni del presente in cui viviamo?

Ci sono delle provocazioni interessanti non solo nella cinematografia italiana. Il film di Umberto Spinazzola che vedremo per la conclusione della giornata delle Primavere a Lecco (il 19 maggio alle 21, ndr) parla proprio di questo in maniera coraggiosa, mettendo al centro il tema di uno scarto che diventa risorsa, e della degradazione non solo degli alimenti ma anche delle persone nella società, che se intese solo in chiave funzionale sono a rischio scarto. Quando invece c’è una comunità anche lo scarto diventa una risorsa.

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