Equitalia in ritardo: persi 60 milioni

La sentenzaSono i soldi che lo Stato avrebbe dovuto riscuotere dopo una condanna per contrabbando del 1991

Secondo il Tribunale la richiesta è andata prescritta. Li doveva l’ex moglie di Arcellaschi, il celebre “Rosso di Albiolo”

È una sentenza per molte ragioni straordinaria quella emessa dal tribunale civile di Como nell’ambito di un procedimento promosso contro Equitalia, i Monopoli di Stato e l’Agenzia delle dogane. È straordinaria, in primis, perché il giudice (Alessandro D’Aniello) ha statuito la non esigibilità, per intervenuta prescrizione, di una somma spropositata, 60 milioni di euro che lo Stato non incasserà, essendosi l’Agenzia delle entrate “dimenticata” di interrompere i termini della prescrizione. Ma è straordinaria anche perché ci riporta a un’epopea lontana, quella in cui a Como prima e a Milano un paio d’anni dopo (in corte d’Appello) si celebrarono i maxi processi per contrabbando di “tabacchi lavorati esteri”, le “bionde” di cui al confine si faceva, al tempo, un gran trafficare.

Dalla Svizzera alla Slovenia

Tra i protagonisti di quella epopea, un ruolo di assoluto rilievo dové essere attribuito ad Augusto Arcellaschi, 72 anni, il “Rosso di Albiolo”, fino a qualche anno fa tra i più fidati contribuenti della Confederazione elvetica (dove il traffico di sigarette ai danni dei Monopoli, più che un reato, è da sempre ritenuto business tassabile), poi caduto in disgrazia e a lungo inseguito dall’Interpol fino in Slovenia, prima di ritrovarsi nuovamente, deposte le armi, in quel di Albiolo, dove oggi sconta affidato ai Servizi sociali i debiti residui contratti con la giustizia della Repubblica.

I Tir di “bionde” tra il 1979 e il 1981

La sentenza che manda prescritta quella “mostruosa” cartella esattoriale, è conseguenza di una impugnazione voluta, per il tramite dell’avvocato Donata Colombo, dalla signora Ines Ronchetti, prima ed ex moglie di Arcellaschi, coinvolta - con un ruolo assolutamente marginale - nel maxi processo che nel 1986 si celebrò nell’aula bunker del Bassone: una ventina di imputati, ivi compreso un manipolo di militari della Guardia di finanza al soldo di Arcellaschi e della sua organizzazione, per un contrabbando di 160 Tir carichi di “bionde” tra il 1979 e il 1981.

Cinque anni più tardi, respingendo l’ultimo ricorso, la Cassazione rese definitiva una sentenza di condanna emessa dalla corte d’Appello nel 1989, e lei, la signora Ronchetti - che era stata accusata di essersi sporcata le mani cambiando un po’ degli assegni provento dell’attività del marito - si ritrovò a dover risarcire qualcosa come venti miliardi di lire, sulla scorta di una legge che prevedeva, e prevede, salatissimi risarcimenti “al chilo”: tot sigarette, tot lire. Detto un po’ grossolanamente, 160 Tir facevano 20 miliardi.

La somma, nel tempo, andò rivalutandosi, lievitando fino ai 60 milioni di euro del precetto notificato nel maggio del 2010. Dev’essere preso un colpo, alla signora Ines, così come un colpo dev’esserle preso alla lettura della sentenza con cui il giudice le ha dato ragione. Il motivo della “vittoria”? Lo spiega lo sconfitto, l’avvocato di Equitalia Giuseppe Fiertler, che avverte: «È una materia giuridica complicata, sulla quale attendiamo tutti un pronunciamento definitivo delle sezioni unite della Cassazione: nella cartella notificata alla signora, confluivano diverse voci di imposta, ciascuna con un termine di prescrizione diverso. Equitalia, in altre parole chiede che sia fatta chiarezza: quale, dei tanti, è il termine che fa fede?». A leggere la sentenza, la questione sembra in realtà anche un’altra: a due coimputati dell’ex moglie di Arcellaschi, furono notificate un paio di intimazioni di pagamento (per importi di poche centinaia di euro) tra il 2004 e il 2005. Dovevano, dice lo Stato, bastare a interrompere i termini della prescrizione, ma lei, la signora Ines, non le ricevette mai. E tanto basta, per il giudice, a stabilire che i soldi non sono più dovuti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA