False cooperative ed evasione fiscale: «Così si finanziava la ’ndrangheta»

Criminalità Ieri l’udienza a carico di 11 imputati per l’inchiesta sulla malavita organizzata . Le testimonianze dei finanzieri: «Milioni che andavano a calabresi vicini alle cosche»

«Secondo le nostre indagini, sono milioni gli euro di evasione calcolati grazie al giro di queste false cooperative e altrettanti i milioni finiti in distrazioni di capitale. Soldi che in parte finivano con l’andare, senza alcuna ragione economica, verso calabresi vicini alla criminalità organizzata».

E’ iniziato ieri – entrando subito nel vivo – il processo contro la ’ndrangheta e le infiltrazioni nel Comasco, il terzo che di celebra in provincia di Como in appena tre anni. Al centro dell’attenzione, in questo fascicolo che ieri ha visto sfilare – davanti alla presidente Valeria Costi, in un collegio composto anche da Maria Elisabetta De Benedetto e da Veronica Dal Pozzo – i primi testimoni della pubblica accusa rappresentata dai pm della Dda Sara Ombra e Pasquale Addesso, il sistema delle finte cooperative.

Chi ha svolto le indagini

A parlare sono stati gli uomini della guardia di finanza che condussero le indagini, partendo da un giro di presunte coop fittizie per poi scavare sempre più nel profondo fino ad arrivare a costruire un flusso di contanti – nato dalle false fatturazioni e dai mancati versamenti delle imposte – che avrebbero favorito personaggi vicini alla malavita organizzata di stampo calabrese. Questa è, almeno, la tesi che l’accusa ha portato a processo.

Gli imputati

Sono 11 gli imputati, la gran parte dei quali collegati con Como da remoto. Altri 34 dello stesso fascicolo sono invece alla sbarra a Milano. Nell’aula del Palazzo di Giustizia lariano ci sono Giuseppe Iaconis, figlio di quel Bartolomeo condannato all’ergastolo per omicidio con l’aggravante dell’associazione mafiosa, Alessandro Tagliente, diversi esponenti della famiglia Ficarra (Massimiliano, Antonio, Rocco Marcello, Daniele), Antonio Carlino, Claudio Tonietti, Andrea Stillitano, Leo Palamara e Giuseppe Valenzisi. Di questi Iaconis, Massimiliano Ficarra, Palamara, Stillitano, Tagliente e Tonietti sono accusati di associazione a delinquere.

Ma tra le ipotesi di reato a vario titolo ci sono anche le presunte bancarotte nel mondo delle false cooperative, le lesioni personali aggravate dal metodo mafioso, la detenzione e il porto illegale di arma, la detenzione e il porto d’arma da fuoco, plurime accuse di frode fiscale e di bancarotta fraudolenta e l’esercizio abusivo dell’attività finanziaria. La vicenda nasce dal blitz compiuto dalla Guardia di finanza di Como e dalla squadra mobile di Milano contro una sessantina di persone accusate di essere legate a doppio filo ai clan calabresi. Dei cento testimoni chiamati a deporre, ieri ad iniziare sono stati coloro che avviarono le indagini: «L’indagine partì da una verifica su delle false fatture e su una attività di occultamento di scritture contabili dal 2009 al 2019 – ha detto il brigadiere delle Fiamme Gialle – Le coop su cui stavamo lavorando erano gestite da prestanome ed erano meri contenitori di forza lavoro. A monte c’erano consorzi solo con personale amministrativo. Il giro di evasione che riscontrammo era di dieci milioni di euro».

«I vantaggi? Denaro liquido finiva in parte sui conti delle società con dietro personaggi della criminalità organizzata, cifre anche importanti». Spostamenti di denaro ingenti, a favore di uomini sospettati di essere vicini alla malavita, che «non avevano alcuna giustificazione economica».

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