«Il Covid è un affare
per la ’ndrangheta
e il turismo fa gola»

Intervista ad Alessandra Dolci, capo della Procura antimafia «Smaltimento di rifiuti contaminati e mascherine sono il nuovo business»

La ’ndrangheta non se ne sta con le mani in mano: è già al lavoro per fare affari nel settore della sanità e nello smaltimento dei rifiuti Covid. E poi c’è il settore del turismo in crisi, che da sempre fa gola alle mafie».

Alessandra Dolci, procuratore aggiunto di Milano e capo della Direzione distrettuale antimafia, non nasconde la sua preoccupazione per le opportunità che il maledetto virus ha aperto alle famiglie mafiose.

C’eravamo lasciati lo scorso autunno con una sua dichiarazione, fatta in un incontro a Erba: “attualmente il territorio di Como, dal punto di vista investigativo, è quello che ci dà più lavoro”. È ancora così?

Diciamo che da allora si sono risvegliati anche altri territori. Molti dei condannati dell’operazione Infinito e Crimine sono tornati in libertà e sono già pienamente operativi. Certo, Como sicuramente resta ancora prima nella classifica.

Questi due mesi in cui le vite di tutti sono rimaste sospese per colpa del Covid, come hanno influito sul lavoro della Dda?

Hanno reso le indagini più difficili, perché la polizia giudiziaria rispetta il distanziamento, il personale è stato costretto a fare i turni e i servizi esterni sono stati ridotti al minimo. Questo un po’ ha rallentato l’attività, anche se molti dei nostri indagati hanno continuato a muoversi, senza rispettare i decreti del presidente del consiglio.

Da sempre la criminalità organizzata è abilissima nell’anticipare lo Stato nel soddisfare, illegalmente, la domanda del Paese. Avete segnali che questo stia avvenendo pure ora?

Posso dire che, nel corso dell’attività investigativa, da qualche settimana monitoriamo una certa frenesia nell’accaparrarsi presidi di protezione, kit sanitari, kit Covid, materiale medico; hanno capito che questo può essere un business vantaggioso dal punto di vista economico. Poi c’è grande interesse per lo smaltimento dei rifiuti Covid. Io ho scoperto l’esistenza di un decreto del 4 aprile della Regione Lombardia, su questo tema, grazie alle intercettazioni.

Come sempre le mafie sono aggiornatissime sulle norme da aggirare...

Sono assolutamente aggiornati, spesso più dei pubblici ministeri. Questo interessamento è molto allarmante: dobbiamo assolutamente fare in modo che la filiera dello smaltimento sia garantita.

Come?

Il decreto prevede che i rifiuti Covid vadano tutti nell’inceneritore e consente un aumento delle capacità di stoccaggio per le società titolari dello smaltimento e gestione rifiuti. Bisogna controllare che questi rifiuti che non possono essere subito portati dall’ospedale o dalle Rsa all’inceneritore non facciano tappe intermedie. E inoltre bisognerà avere la garanzia che le società che avranno l’appalto diano effettivamente prova del conferimento.

Quali aspetti, della peggiore crisi economica peggiore dell’era euro, vi preoccupano maggiormente tenendo conto dei campi d’azione delle mafie?

Vista la gravissima crisi di liquidità ci aspettiamo un incremento del fenomeno dell’usura. Ma ciò che preoccupa è, in un momento di grave crisi economica, l’offerta di lavoro della criminalità, che finirebbe per creare consenso e le ripercussioni di tutto questo, nel lungo periodo, sono allarmanti. Tra l’altro c’è timore di fenomeni di disordine sociale, e su questo le mafie ci marciano.

In questi giorni abbiamo parlato con colf o lavoratori del settore della ristorazione in cassa integrazione che non hanno ancora ricevuto i soldi dallo Stato. Questo non può diventare un problema anche nella vostra ottica?

È proprio questo il pericolo: le mafie vogliono intercettare il nuovo disagio sociale. Chi lavora in nero, o ha lavori non remunerativi, può essere considerato manovalanza anche nei nostri territori. Pensi solo a quelli che fanno i prestanome, persone con disagio sociale che tornano utili alle mafie.

Quali settori economici sono maggiormente esposti all’aggressione della criminalità?

A parte tutte quelle società che improvvisamente hanno cambiato oggetto sociale per commercializzare presidi di autoprotezione, sicuramente le società che si occupano di bonifiche e gestione rifiuti, società di logistica, quelle per il trasporto di generi alimentari ad esempio. È poi c’è il buco nero del settore alberghiero e della ristorazione: sarà abbastanza semplice, per chi ha disponibilità economiche, rilevare locali pubblici.

Suona come un campanello d’allarme per il settore turistico comasco...

Certo... potranno gli albergartori stare un anno senza ricavi? Il rischio è serio e grave. Le mafie sono sempre state interessate al settore della ristorazione, perché dà visibilità, fa rete, permette il riciclaggio di denaro, è una giustificazione perché formalmente può assumere dipendenti.

Ci sono campanelli d’allarme a cui la società civile deve fare particolarmente attenzione per capire se le mafie si stanno muovendo?

È importantissimo l’atteggiamento che avranno molti imprenditori. Io penso che sarà determinante il loro atteggiamento, se si lasciano sedurre dalle sirene di un facile accesso alla liquidità, pensando di gestire i rapporti con famiglie ndrangheta, il problema sarà serio. Fondamentale è il ruolo delle associazioni categoria.

In che modo?

Sensibilizzando i proprio associati e interloquendo con l’autorità giudiziaria.

Mi permetto di dire che essenziale sarà anche la capacità dello Stato di immettere denaro per far ripartire le imprese. La burocrazia non rischia di bloccare la capacità di risposta alle richieste della società, avvantaggiando le mafie?

Il punto è trovare l’equilibrio giusto tra l’iniezione di liquidità immediata e i controlli necessari per farlo. Bisogna fare una scelta e in questo momento penso sia indispensabile dare una risposta tempestiva. Poi avremo modo di intervenire per punire gli abusi, ma per ripartire non si può far aspettare, altrimenti un imprenditore fa tempo a chiudere un’azienda.

Lei ha detto che oggi la ’ndrangheta, per certi versi, è ancora più pericolosa del passato, perché si mimetizza più abilmente. Avete segnali che questa tattica sia stata ancor più affinata?

Io vedo un’accentuazione del profilo imprenditoriale della ’ndrangheta. Gli indagati che in passato ho visto sempre impegnati nel traffico di droga, ora fanno gli “imprenditori”: rilevano società che commercializzano mascherine o movimentano rifiuti. Dopotutto fare l’imprenditore dà una diversa legittimazione sociale e il loro interesse è ampliare la rete, gli amici, i conniventi, l’area grigia. Con questo la droga non è stata eliminata.

Veniamo ai territori del Comasco e del Lecchese. Quali settori economici sono più a rischio infiltrazione, qui?

Troppi imprenditori della vostra zona sono coinvolti nella fatturazione fittizia. Si tratta di imprenditori borderline, adusi a porre in essere illeciti nell’evasione fiscale. Spesso trovano facile sponda in società che fanno capo a soggetti calabresi che si prestano a favorire l’evasione fiscale. Stiamo monitorando fiumi di denaro in nero, che in parte tornano all’imprenditore, ma in parte vanno ad alimentare il welfare della criminalità organizzata, ovvero forniscono il cash necessario al sostentamento delle famiglie. Questa commissione è devatante per il nostro Paese. Quel che notavo, anche in occasione dell’ultima riunione con i colleghi, è che le contestazioni che muoviamo oggi attengono soprattutto a reati fiscali e a bancarotte. L’indagine sulle cooperative fittizie portata a termine dalla Procura di Como è paradigmatica di come certa parte dell’imprenditoria abbia deciso di fare affari con i clan calabresi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA