Il mistero della casa più antica
A Breccia tornano gli archeologi

Nella Spina Verde nuova campagna di scavi condotta da studiosi della Sapienza

Alla ricerca di nuove tracce archeologiche usando tecnologie all’avanguardia. Nei giorni scorsi, sono stati fatti dei rilievi nei prati intorno a Rodineto, a Breccia. Le ricerche sono state condotte dalla Sapienza e dalle università di Monaco e Varsavia, coadiuvate dall’istituto archeologico germanico di Roma. Nella zona, stando a uno studio pubblicato in estate, potrebbe trovarsi l’abitazione protostorica più grande di tutta la Spina Verde.

L’analisi è compiuta con strumenti innovativi. Messi da parte per ora picconi e trivelle, la ricerca nel sottosuolo è stata effettuata con un georadar: grazie all’emissione e alla riflessioni di onde elettromagnetiche, l’attrezzo restituisce informazioni su oggetti nascosti o sepolti sottoterra.

Nella zona della Spina Verde, negli anni passati, sono state trovate importanti tracce d’insediamenti umani risalenti alla civiltà di Golasecca, cioè attorno all’XI secolo a. C., fra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro. Si tratta di “camere” in roccia scavata, ma pure tracce e incisioni. Per la parte italiana, le ricerche sono condotte dall’esperto di protostoria Alessandro Vanzetti, insieme con i colleghi Fabian Welc, Louis Nebelsick e Carola Metzner-Nebelsick. I docenti hanno già compiuto studi nella zona, pubblicati in un capitolo del volume“Crossing the Alps - Early urbanism between northern Italy and central Europe (900-400 a.C.)”, redatto insieme con Barbara Grassi, responsabile della provincia di Como perlla soprintendenza. In quel contesto, fu illustrata la scoperta di una monumentale “Casa Alpina” interrata, con possibili pareti rettilinee. Potrebbe essere la struttura più imponente di tutto il parco, ancora più estesa della vicina “Camera grande”. Un grande obiettivo dell’indagine, grazie al coordinamento della soprintendenza lombarda, è creare una mappa tridimensionale dell’area e simulare la ricostruzione digitale dei resti.

Un punto di comunicazione

Fautore comasco dell’iniziativa è Fabio Brusa, proprietario del fondo, insieme con Sergio Lazzarini, docente di Storia del diritto romano all’Insubria. «Si tratta di una ricerca importante – commenta Lazzarini - del resto, la zona era un centro noto ai tempi dell’età del Ferro, era uno dei punti di comunicazione principale fra l’Italia Settentrionale e l’Europa Centrale».

La ricerca continuerà e sempre con mezzi e strumentazione all’avanguardia. Si ipotizza, infatti, l’utilizzo di droni. «C’è il sostegno anche da parte della proprietà – aggiunge Lazzarini – si è attivata una bella collaborazione fra privato e pubblico».

In un recente convegno all’Ara Pacis a Roma, il docente dell’Insubria, in un intervento su “digitalizzazione e antichistica”, ha proprio fatto riferimento alle indagini strumentali svolte a Breccia.

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