Il parà in rotta su Cuba
Primo straniero arrivato in pace

Martino Ronzoni, medico e appassionato di lanci: «Vent’anni fa un evento che contribuì al disgelo»

Fidel Castro aveva firmato un permesso speciale per consentire a un gruppo di dodici paracadutisti di sorvolare la città dell’Avana e atterrare al Castillo del Morro, a picco sul mare e a due passi dalla città vecchia con le sue stradine su cui si affacciano i bar carichi di rum e storie. All’inizio dell’anno c’era stata la visita di papa Woityla con la storica stretta di mano, ma l’isola dei Caraibi restava isolata, prigioniera di quell’embargo durissimo imposto dagli Usa negli anni Sessanta.

È il 1998, il 30 novembre. Vent’anni fa esatti. E nel gruppo di paracadutisti cubani c’è uno straniero: Martino Ronzoni, medico comasco, iscritto alla sezione di Paracadutismo di Como (ancora oggi quella con il maggior numero di persone) che attualmente realizza plantari su misura nel suo laboratorio di Lurate Caccivio, inclusi quelli per i big del calcio, da Ronaldo il Fenomeno a Mauro Icardi, da Cannavaro a Milito.

Ma torniamo a Cuba. Il suo paracadute si è lanciato in tantissimi posti, quel giorno di vent’anni fa però Ronzoni è stato il primo straniero a farlo a L’Avana, ricevuto con tutti gli onori da Arnaldo Tamayo, eroe nazionale, primo cosmonauta cubano, che gli consegnò anche un diploma. Ora è incorniciato nel suo studio, accanto ad altri riconoscimenti ottenuti grazie alla sua passione per i lanci nel vuoto.

«Ricordo nitidamente ogni dettaglio di quella giornata - racconta Ronzoni mentre mostra il quadro -. Sono quasi le 15 e l’appuntamento è all’aeroporto José Marti. Con 12 paracadutisti cubani farò il lancio storico. Fidel Castro aveva dato l’autorizzazione agli aerei per sorvolare la città e atterrare all’aeroporto mentre fino a quel momento, per motivi di sicurezza, erano costretti a fare un lungo giro». Il lancio speciale era proprio per la fine del divieto di sorvolo. «E c’ero anche io - prosegue -. Arrivo con mezz’ora di ritardo, perché il vecchio taxi va a rilento, ma confido nella non puntualità cubana. Ricordo però bene la faccia di Luis, che mi aspettava all’aeroporto. Mi mette fretta, è preoccupato del ritardo. Mi sento per un attimo a disagio, ma poi mi rendo conto che l’agitazione è solo perché la prima bottiglia di rum era già finita. Impossibile non fare tutti assieme la foto pre lancio, con il rum ovviamente».

Ronzoni osserva i suoi compagni di avventura, l’attrezzatura innanzitutto. Una ragazza ha materiali della Ddr del 1954. Il pilota è Ramon, un passato alla guida dei Mig in Angola. Con i russi, ovvio. «L’aereo su cui dobbiamo salire è un Antonov Z biplano - ricorda - costruzione sovietica del 1956. Noto la chiusura del portellone con elastico portapacchi. Speriamo in bene. Mi descrivono la zona del lancio, il Castillo del Morro. È all’ingresso del porto, una costruzione spagnola del 1600. Dall’alto si vede un prato e ad assistere c’è tanta gente». È un evento.

Il paracadutista comasco è pronto: «Il vento è forte, l’area di atterraggio piccola e insidiosa. Il prato è piccolo, c’è il fossato spagnolo intorno al castello… la scogliera, il mare. Dall’altra parte l’autostrada e la zona militare. Ho pensato: “Porca miseria, devo farmi male a Cuba?”. I primi sono già atterrati, uno va lungo sulla strada. Tocca a me. Sono un filo corto, una pausa del vento mi fa riposizionare e arrivo dolcemente al centro. Tiro i comandi velocemente appena tocco terra, il destro lo affondo facendo collassare il paracadute prima che diventi una pericolosa vela che mi può trascinare via. Attorno noto una grande festa e un gruppo di quindici persone, due in uniforme, che applaudono composti. C’è la tv di Stato. Uno dei due militari si avvicina: ci dà la mano e si presenta come Arnaldo Tamayo. Scoprirò solo dopo essere un eroe nazionale. Mi parla per un paio di minuti, sa tutta la mia storia. Solo io non sapevo niente di lui. Mi dice che rappresento un segno di amicizia che arriva dal cielo e che la sua speranza è l’arrivo di tanti altri, per fermare l’isolamento. Mi offre un sigaro. E mi consegna un diploma».

È quello appeso al muro. Parla di amicizia e fratellanza e, in fondo, c’è la firma del generale Arnaldo Tamayo Mendez, il primo latinoamericano ad andare nello spazio. E al Museo della Rivoluzione, dove sono custoditi i cimeli di Che Guevara o quelli della Baia dei Porci , in una teca c’è anche la sua tuta spaziale. Ronzoni osserva il quadro sulla parete: «A distanza di vent’anni guardo quella carta di riconoscimento firmata da Tamayo, comandante delle forze armate rivoluzionarie. E penso a quel lancio. Qualcosa sta cambiando, forse, ma troppi anni sono passati». 
Gisella Roncoroni

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