«In quella lettera dimenticata c’è la storia dei miei avi»

La storia Inviata “a caso” 19 anni fa a Buenos Aires e da allora rimasta sempre chiusa nello stesso cassetto. Poi un messaggio sul telefono e un filo che si riannoda

Il calcio e il trisavolo, oppure entrambi, come dimostra la storia del giovanissimo “oriundo” Mateo Retegui, nazionale italiano per parte di bisnonno. Proprio nelle ore in cui il nuovo centravanti azzurro tornava nella sua Argentina, da Buenos Aires rimbalzava una piccola ma incredibile storia di strade e destini che tornano a incrociarsi all’improvviso, e che spiega bene - senza che in realtà ce ne fosse bisogno - il legame profondo tra il Belpaese e la nazione del tango e dell’asado.

A raccontare, un po’ incredulo, è Roberto Colombo, agente immobiliare con un passato lontano da giornalista proprio qui, a La Provincia, che pochi giorni fa si è visto recapitare sul telefono un messaggio dall’altro mondo, come si sarebbe detto ai tempi belli in cui web e modernità assortite non avevano ancora reso la terra un posto tanto piccolo e tanto poco esotico. Il messaggio – recapitato tramite Whatsapp – riportava una sola domanda, in inglese: «Questo è per caso il telefono di Roberto?».

Le pagine bianche

«È andata così – racconta il diretto interessato, che nonostante il nuovo lavoro non ha mai rinunciato alla passione per la scrittura –: nel 2004, quando ancora lavoravo come giornalista, ebbi l’idea di cercare qualcuno dei discendenti dei miei bisnonni, salpati a inizio Novecento alla volta dell’Argentina. Ero convinto che qualcuno dovesse esserci per forza, così consultai le pagine bianche di Buenos Aires e identificai una trentina di famiglie che di cognome facevano Borgo, come la mia bisnonna e come i suoi due fratelli emigrati da Casalnoceto, un piccolo centro nell’Alessandrino. Un po’ a caso e senza troppe speranze spedii a tutti la stessa lettera, presentandomi e spiegando di essere alla ricerca di eventuali cugini d’America. Purtroppo in questi 19 lunghi anni non ho mai ottenuto risposta, fino al messaggio recapitato l’altro giorno».

A scrivergli in inglese dalla capitale argentina è stato tale Luis Borgo, 57 anni, biologo e guida alpina, se possibile ancora più stupefatto di Roberto. Chiusa in un cassetto della casa di suo padre aveva appena ritrovato una di quelle lettere che Roberto aveva indirizzato ai Borgo d’Argentina. Non ha saputo, Luis, spiegare perché il padre, scomparso da cinque anni, l’avesse chiusa lì dentro senza farne menzione con nessuno e, soprattutto, senza rispondere. Ma che quel che importa è che tutto torna: il cugino Luis, nonno Fiorentino, la bisnonna Gemma, Ulda, Igino, i piroscafi che facevano la spola tra Genova e Buenos Aires facendo scalo a Montevideo. È una storia davvero incredibile, non tanto per il cugino ritrovato, ché l’Argentina è zeppa di cugini in attesa di essere ritrovati: è incredibile la storia del ritrovamento della lettera, è incredibile il fatto che in quel campione di destinatari individuati un po’ a casaccio sull’elenco del telefono ci fosse anche quello giusto, ed è incredibile infine che quello scritto sia rimasto chiuso in quel cassetto tanto a lungo.

La tragedia del primo figlio

Ora la speranza è quella di incontrarsi per chiudere il cerchio di questa parabola avviata nei primi anni del Novecento: «I miei bisnonni partirono per l’Argentina con il loro bimbo nato da poche settimane - ricorda Roberto -. Purtroppo il bimbo morì durante il viaggio. Aveva appena 40 giorni. La sua mamma fece di tutto per evitare che fosse “sepolto” in mare alla maniera dei marinai, convincendo il comandante a conservarne il corpo in una piccola cella piena di ghiaccio e così rimandando la sepoltura a dopo la sbarco. In Argentina il bisnonno mise in piedi un’impresa di costruzioni, e prosperò costruendo tra l’altre cose una parte della tangenziale di Buenos Aires e una parte della rete cittadina dei primi “tramvai”. Nel 1910 nacque mia nonna Ulda e nel 1912 suo fratello Igino, che poi sarebbe diventato medico. Un certo agio consentì al bisnonno di andare e venire dall’Italia più di quanto fosse consentito ad altri emigrati. Andava fiero di un incontro, a bordo di uno di quei piroscafi, con il tenore Caruso, che raggiungeva il Sudamerica per esibirsi al teatro Colòn. Poi però commise l’errore di restare in Italia per combattere durante la prima guerra mondiale. E l’impresa in Argentina andò a rotoli...». Ora lo scambio di informazioni (e di fotografie), che via whatsapp si è fatto febbrile: anche perché, a quanto pare, i parenti da quelle parti sarebbero parecchi. La prossima tappa, chissà: forse una grande rimpatriata.

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