Insubria, clima di accuse e sospetti. Un professore: «Disarmiamoci»

Università Da una mail inviata lo scorso anno i retroscena dello scontro in atto nell’ateneo

«Perché la guerra?». È la domanda cui tenta di dare una risposta - in una mail inviata a tutti i colleghi oltre un anno fa - Pier Dalla Vigna, professore associato del dipartimento di Scienze umane dell’Insubria. La lettera è dell’8 febbraio 2021 e contiene una lunga riflessione «sullo stato del nostro dipartimento, che, come molti di voi concorderanno, sta passando un gran brutto periodo». Nonostante le buone intenzioni, il risultato dello scritto (letto da decine di persone dentro l’Insubria, e non solo) non sarà il disarmo all’interno del Disuit, anzi tutto il contrario.

Le sette pagine, condivise con il resto del Dipartimento, sono estremamente significative per comprendere il clima nel quale si sono alimentate guerre, esposti, denunce, polemiche infuocate sui bandi di concorso.

Lo scontro

«Si era costituita una macchina desiderante – scriveva, riferendosi alla nascita del Disuit - Il fatto che il prorettore stesso partecipasse al Dipartimento venne vissuto inizialmente come un’ulteriore garanzia per l’avvio a buon fine di molti progetti. Il consenso rispetto alle figure istituzionali del dipartimento, dal nuovo direttore ai presidenti dei corsi di laurea, sembrava assoluto». Poi, però, qualcosa cambia. «Nel momento stesso in cui iniziò la distribuzione delle risorse, e si fecero delle chiamate, iniziarono i malumori e i mal di pancia – aggiungeva Dalla Vigna - Ad alcuni sembrò che una parte venisse gratificata con più ricercatori, ad altri sembrò che le proprie aspettative fossero tarpate. Inoltre, la nascita di partiti informali era ulteriormente complicata dal fatto che, al di là delle rimostranze dichiarate, alcuni soggetti di ciascun gruppo perseguivano progetti personali non detti, e usavano il conflitto per rafforzare le proprie posizioni». Insomma, la macchina desiderante si era «convertita in macchina della paranoia».

Il rischio paventato è che «se una terapia d’urto non interverrà a mutare la situazione», la guerriglia porterà una delle parti in conflitto a cercare un nuovo inizio altrove. Da qui, la richiesta: «Ciò che propongo è, in una parola, “disarmiamoci”».

Nonostante le parole di apprezzamento ricevute via mail, fra cui quelle dell’allora capo del Disuit Paolo Luca Bernardini, l’appello cade nel vuoto. A dirlo, sempre via mail ai colleghi, è stato lo stesso Dalla Vigna, sottolineando come «uno dei poli di questo potenziale dibattito, per motivi a me oscuri, ha scelto il silenzio».

La guerra rettore-vicario

A questa mail aveva risposto Giulio Facchetti, presidente del corso di Scienze della comunicazione, annunciando una replica al lungo discorso «che contiene affermazioni di principio condivisibili, esagerazioni, giochi ironici, ma anche affermazioni di fatto non precise, per mancata conoscenza di dettagli essenziali».

A una mail successiva dello stesso Facchetti era intervenuto Serra Capizzano, utilizzando più volte l’appellativo «greve» nei confronti del direttore di Scienze della comunicazione. La lettera, ritenuta offensiva, era finita sul tavolo del rettore che aprì il procedimento disciplinare a carico del vicario lariano. Fu l’inizio della guerra fra Tagliabue e Serra Capizzano.

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