La cura del palcoscenico
«In scena contro il tumore»

STORIE DI DIOGENE / Un successo, lunedì sera al Sociale, per “Fabula Rasa”. A recitare dieci pazienti dell’unità di oncologia

Il racconto della malattia e della guarigione, della cura e delle fatiche quotidiane, le paure e la speranza, il futuro e gli affetti più cari: questo è “Fabula Rasa”, lo spettacolo della regista Eri Cakalli che per la prima volta è stato messo in scena a Como, dopo il debutto di un anno fa circa al Teatro di Cusano Milanino e diverse repliche.

Ad ospitarlo, ieri sera, il Teatro Sociale di Como; protagoniste le pazienti dell’Unità Operativa di Oncologia dell’ASST Nord Milano: guidate nei gruppi di psicoterapia da Chiara Magatti - psicologa e psicoterapeuta - insieme a lei e alla regista hanno dato vita al progetto “Storie che curano”. Tra di loro Elena Cavalli e Emanuela Giraldo: «Si è trattato di un vero e proprio viaggio - racconta quest’ultima - partito da un evento traumatico e inaspettato come la diagnosi di una malattia e arrivato alla condivisione e al racconto delle nostre esperienze. Nel mio caso ho voluto fare mia la frase di Mohamed Alì “dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra.”, cercando di superare la montagna che aveva travolto me e la mia famiglia con l’energia e il carattere che mi hanno sempre caratterizzato».

Oltre la rabbia

Paziente di Chiara Magatti, Emanuela ha sentito l’esigenza di condividere la propria esperienza e le proprie emozioni, l’elaborazione di quello che era una sorta di lutto per poter più facilmente rialzarsi e non sentirsi sola. Per questo ha chiesto di poter incontrare altre donne nella sua stessa situazione. Per Elena l’approccio è stato diverso: madre di un figlio affetto da disabilità grave, nel 2011 ha perso la mamma a causa di una malattia e, dopo due mesi da quella perdita, suo marito ha scoperto di essere a sua volta malato. Poco tempo dopo, grazie allo screening periodico previsto dalla Regione Lombardia, Elena ha avuto l’ulteriore cattiva notizia del cancro.

«La mia famiglia era già molto provata e, di fronte a questo nuovo carico, la mia reazione è stata, all’inizio, di grande rabbia. Sono una persona pratica, però, e ho imparato che la vita ci pone davanti a situazioni che vanno affrontate e gestite. Dopo il percorso di cure ho scoperto dell’esistenza del servizio di supporto psicologico diretto da Chiara Magatti: è stata lei ad avvicinarmi, in maniera molto gentile, anche se io ero all’inizio ben poco propensa a parlare della mia situazione. Nonostante io sia stata piuttosto dura, lei ha insistito e, anche grazie ad una collega che ho scoperto essere nella stessa situazione, ho iniziato a frequentare con lei gli incontri di gruppo per un periodo. Dopo alcuni mesi ho diradato la mia partecipazione, ma Chiara mi ha ricontattato perché stava avviando un laboratorio teatrale ed era certa che facesse per me. Aveva ragione, da quel momento ho iniziato ad abbracciarla e a ringraziarla».

Durante gli incontri del laboratorio Elena, Emanuela e le altre (dieci donne in tutto) hanno cantato, ballato, giocato, raccontato storie e raccontato se stesse con propri testi, inizialmente immaginandosi come animali o personaggi vari. Una volta pronte è stato loro proposto di parlare della loro malattia: «A quel punto per noi è stato quasi naturale - prosegue Elena - anche perché avevamo perso i freni inibitori tra di noi; all’inizio non ci conoscevamo e adesso sentiamo la mancanza di condividere le nostre esperienze quando non ci vediamo».

Spettacolo agrodolce

Racconta ancora Emanuela: «La mia preoccupazione iniziale era che il messaggio potesse diventare pesante e, sebbene la tematica lo sia, il risultato è invece uno spettacolo agrodolce. Le emozioni provate e trasmesse sono uniche e positive e, a distanza di quattro anni (Emanuela ha iniziato il proprio percorso nel 2015 ndr), ci lega anche un bene più profondo oltre alla condivisione dell’esperienza legata al cancro; nel tempo abbiamo conosciuto le personalità di ciascuna, con pregi e difetti».

Qualche timore iniziale per Emanuela è stato dovuto anche alla loro mancanza di esperienza di recitazione; l’incertezza è stata però presto superata: «Personalmente ero un po’ titubante perché mi trovavo per la prima volta a dover recitare, poi mi sono lasciata andare a questa avventura - unica nel suo genere - anche perché spronata dalla famiglia; mi sono resa conto, andando avanti, che la voglia e la capacità di raccontarci le abbiamo in noi e, sebbene non sia semplice, alla fine vengono fuori». Lo spettacolo ha una forza di cui le stesse protagoniste si meravigliano ogni volta, ammette emozionata Elena: «È capitato di vederci in un video e ci siamo tutte commosse rivedendo le nostre vite e i nostri testi: per noi è una cosa grande che ha soddisfatto il bisogno di raccontarci agli altri. A me questa esperienza ha ridato il sorriso, con tanto entusiasmo e positività».  
Dalila Lattanzi

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