Daniela, in lotta contro il cancro. Ora cerca il padre che non ha mai conosciuto

La storia Lo sfogo della comasca che già aveva rintracciato sua madre. Ora per curarsi ha bisogno anche del Da del padre: «Sono quattro anni che lotto, non ne posso più»

L’avevamo lasciata a ottobre, all’inizio di quella terapia che - tutti ci speravamo - avrebbe potuto cambiarle la vita.

Tanto più perché per metterla a punto, quella cura, Daniela Molinari aveva lanciato un appello drammatico, che aveva avuto subito un’enorme eco: abbandonata alla nascita e poi adottata, l’infermiera psichiatrica comasca voleva trovare la madre naturale, perché solo con il suo Dna si poteva tentare una terapia sperimentale per combattere una forma molto grave di cancro che l’aveva aggredita.

Quella donna - vittima di una violenza - aveva scelto però dando alla nascita la bambina di non rivelare le proprie generalità. Doveva servire a questo, l’appello: far giungere a quella madre comasca - Daniela è nata all’ex maternità del Sant’Anna - il senso estremo e assoluto di quella richiesta.

Al silenzio che ne seguì Daniela non si arrese: da una cartella clinica saltò fuori il nome della madre, il Tribunale per i minori di Milano la trovò ma lei negò il proprio consenso. Una mazzata atroce per Daniela.

Poi il miracolo: con un lavoro psicologico di cesello gli esperti del tribunale la convinsero: la madre acconsentì al prelievo, ma non a conoscere la figlia.

«Servono tre tasselli per la cura, se con due - il mio e quello di mia mamma - non bastano, mi serve il terzo: quello di mio padre».

Era già tanto, anche se Daniela, e si può capire, non è mai guarita dal sogno di vedere il viso di sua madre. Non è guarita, purtroppo, neanche dal tumore: la cura americana - costosissima, (e per questo è sempre attivo il crowdfunding www.gofundme.com/f/daniela-un-aiuto-concreto-per-le-sue-cure) e dolorosissima - ha effetti collaterali devastanti. E poi non basta.

«Il ragionamento è semplice - dice Daniela, sfinita e stanca e spaventata ma sempre dolce, propositiva, leggera nel raccontare la sua odissea - Servono tre tasselli per la cura, se con due - il mio e quello di mia mamma - non bastano, mi serve il terzo, quello di mio padre».

E qui comincia il nuovo capitolo della storia, e sembra davvero incredibile che questa donna fatta a pezzi dalla vita abbia avuto la forza di mettere insieme un altro spicchio del puzzle. Per farla breve: un’analisi genetica su myheritage.it, una traccia che porta in Francia, un lontano parente, un informatore anonimo, un nucleo familiare in Liguria imparentato con uno sul nostro lago. Daniela indaga, va sul lago, parla con la gente, raccoglie campioni di Dna. Trova un fratellastro o forse un cugino, e seguendo quella pista trova quello che, con probabilità quasi assoluta, è suo padre.

Servirebbe il suo dna, o quello di una delle due figlie: qui non c’è vincolo di riservatezza che tenga, Daniela gli telefona, fiduciosa nella credibilità che le ha conferito la visibilità mediatica. Ma dall’altra parte c’è un muro.

«Sono quattro anni che lotto, non ne posso più», confida lei, che però non ha nel vocabolario la parola arrendersi.

E via con la nuova crociata: stavolta all’indirizzo di questo padre, di queste sorelle, che di lei sanno tutto ma sono recalcitranti a farsi coinvolgere.

Nuovo appello a “Chi l’ha visto”

Un nuovo appello, che questa sera sarà rilanciato su RaiTre anche da Chi l’ha visto, la trasmissione che anche nella prima fase della ricerca di Daniela tanto si era prestata per darle una mano.

Ora non c’è un nome o un volto da cercare: «Io adesso lo so qual è il mio cognome», dice lei. Ma c’è un uomo da convincere, anche se la brutta storia che c’è dietro rende del tutto improbabile che lui abbia volta di farsi tirare in ballo. Ancora una volta, Daniela paga lo scotto delle premesse di violenza e dolore della sua esistenza. Ma c’è da scommetterci, non deporrà le armi.

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