«La vaccinazione è un dovere
Ve lo dico da sopravvissuto»

Carlo Novati ha 39 anni ed è un pilota di linea, cresciuto all’Areo Club di Como. Contagiato dal Covid è stato al Sant’Anna intubato

«Vaccinarsi contro il Covid è un nostro diritto, ma soprattutto è un nostro dovere. Le due facce della stessa medaglia. Entrambe vanno guardate negli occhi in questa battaglia contro il virus. Io appena possibile mi vaccinerò e spero che come me sempre più persone prendano coscienza dell’importanza di questo gesto. Chi ha attraversato l’incubo del Covid sa che non è uno scherzo ritornare a stare bene. Un mio compagno di stanza non ce l’ha fatta».

Carlo Novati è un pilota di linea, cresciuto all’Areo Club di Como, dove ancora oggi svolge l’attività di istruttore. A ottobre del 2020 lui e sua moglie condividevano la gioia della nascita della loro bambina.

Un mese dopo, l’uomo di 39 anni, senza alcuna patologia pregressa («Sono sempre anche stato attento ad adottare tutte le misure di sicurezza contro il virus, visto la particolarità del mio lavoro»), veniva trasportato d’urgenza al Pronto soccorso dell’ospedale Sant’Anna. Diagnosi: polmonite interstiziale bilaterale, i polmoni collassavano e la saturazione dell’ossigeno scendeva in picchiata. Era necessario subito intubarlo per dargli la possibilità di sopravvivere.

È trascorso il Natale. Per Carlo Novati poterlo passare in famiglia è stato davvero un miracolo. In quei 35 giorni di ricovero al Sant’Anna, prima in Rianimazione poi in Chirurgia 2, abbracciare la sua famiglia si è rivelato il ritorno alla vita piena, quella che inonda della forza persa, quella a cui si rimane attaccati anche nei momenti più bui, che dà la motivazione di lottare.

Il 30 dicembre il pilota ha deciso di affidare ai social la testimonianza del suo incubo e della sua rinascita.

Il saluto al 2020

Un modo personalissimo di salutare il 2020, anche nella scelta di condividere sul web la foto di se stesso, del 15 novembre scorso, con indosso il casco per respirare: occhi spalancati, volto stanco, provato, dimagrito e la paura di essere senza certezze. «Un’immagine forte che capisco possa dare fastidio a qualcuno – dice – ma che mi auguro possa arrivare a molti e far capire che il Covid è una cosa seria, che vaccinarsi è una cosa seria, che dobbiamo credere nella scienza e nei sanitari, persone che mi sono state accanto come angeli e che non mi hanno mai lasciato solo».

«Mi è andata benissimo»

Novati si ritiene fortunato: «Ce l’ho fatta, sono arrivato in ospedale in condizioni gravissime e in poco più di un mese sono tornato a casa, senza danni funzionali ai polmoni e senza l’obbligo di alcuna terapia. Mi è andata benissimo, anche perché la mia stessa famiglia ha saputo contenere il virus, non contagiando altri. Fra qualche settimana, se i controlli andranno bene, potrò riprendere il lavoro, ma intanto ho sentito la necessità di fare la mia parte, rendendo pubblica la mia storia. Sono stanco di negazionisti e di coloro che rifiutano la possibilità di vaccinarsi: è un dovere per noi stessi e nei confronti di chi ci sta accanto».

Le storie personali sono l’unico modo per dare un volto, un nome e un cognome alla sofferenza che questo virus ci ha imposto, ci permettono di diventare tutti più consapevoli, di metterci nei panni degli altri.

Novati i giorni in ospedale oggi li ripercorre lucidamente: «Ricordo il risveglio e quella strana sensazione di non sapere che giorno fosse, dove fossi e se fosse giorno o notte. Provai a muovermi ma niente, ero molto sedato, così molto probabilmente mi riaddormentai. Mi risvegliai, adesso le gambe le muovevo, anche le braccia, ma stranamente non riuscivo ad alzarle più di pochi centimetri. Mi accorsi solo dopo un po’ che erano legate al letto. Mi dissero che la sedazione a volte fa fare cose imprevedibili. Mi misero il casco. Neanche sapevo cosa fosse il casco. Il rumore al suo interno è terribile; qualsiasi comunicazione con l’esterno diventa difficile. E non puoi nemmeno leggere il labiale del personale sanitario; le mascherine occultano i volti. Devi guardarli negli occhi e cercare di capire se va bene o se va male. E loro si avvicinano molto a te per comunicare ciò che serve, il più delle volte urlando per farsi sentire. Esponendosi ancora di più al Covid». Iniziava così la sua seconda vita. E tutto per mano di coloro che lui chiama i suoi angeli.

«Già, gli angeli. Quelli che ho visto sono stati medici infermieri e operatori sanitari. Ero spaventato, confuso, non riuscivo nemmeno a parlare. Ma loro erano lì. Controllavano i miei parametri, mi medicavano, mi pulivano, mi alimentavano, mi davano conforto e i loro occhi sorridevano, generando in me un’apparente sensazione di normalità, come se tutto andasse bene.

«E poi dalla Rianimazione, via, trasferito in reparto. E così altri angeli. Medici infermieri e operatori sanitari (...). Ma si sa, quando gli angeli sono dalla tua parte tutto va nel verso giusto. Ma anche quegli angeli lì, che sono in ospedale si ammalano. Sono fatti di carne e hanno emozioni, e sono stanchi. Hanno famiglie che li aspettano a casa e ogni giorno devono affrontare il travaglio di persone che muoiono senza poter dare l’ultimo saluto a chi amano. Io mi vaccinerò anche per questi angeli».
Laura Mosca

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