L’astro nascente della cucina italiana
«Sono costretto a bussare alla Caritas»

Gambero Rosso ha indicato Dario Giacalone come uno dei 15 migliori giovani chef

Da stella emergente della cucina italiana 2020, secondo il Gambero Rosso, al bussare alla porta della Caritas cittadina per chiedere un sostegno economico con cui pagare l’affitto di casa e mantenere sé e la propria compagna. Nel mezzo, a rimescolare le carte della carriera da chef tutta in ascesa del comasco Dario Giacalone, c’è il Covid. Soprattutto ci sono le ripetute chiusure a spot alle quali è stato sottoposto il settore della ristorazione in oltre un anno di emergenza sanitaria che sta mettendo a dura prova l’intero comparto: «Il paradosso è proprio questo: io un contratto ce l’ho, è lo Stato Italiano che non mi fa lavorare».

Giacalone ha 26 anni e alle spalle non pochi successi professionali. Dopo aver lavorato all’estero in Francia, Spagna e Germania, le ultime due stagioni le ha trascorse nel ristorante di un hotel 5 stelle superior a Madonna di Campiglio, indossando la divisa di chef in seconda. A ottobre, sempre del 2020, è tornato a Como, sua città d’origine, con il progetto di far fruttare l’esperienza maturata e il suo talento, puntando anche all’apertura di un’attività in proprio sull’onda degli ultimi riconoscimenti che lo hanno incoronato tra i 15 migliori giovani chef d’Italia. Ma la realtà ha spazzato via, per ora, ogni sogno e da ottobre Giacalone non è più riuscito a percepire né uno stipendio, né ad accedere a qualche forma di sussidio. Beffa nel danno si è rivelato il continuo susseguirsi di decreti ministeriali. Sono sei mesi che lo chef non lavora pur avendo tra le mani un contratto d’oro in questa particolare congiuntura: a tempo indeterminato, con un ottimo compenso e in qualità di chef di partita nel ristorante Barbarossa di Como.

L’occasione e la beffa

«Quando sono tornato in città, sapevo di dovermi rimboccare le maniche e ho cercato ovunque – racconta – Per alcuni mesi ho accettato un lavoro in un locale, giravo hamburger, e mi andava bene così sul breve periodo in attesa di un’occasione. Poi il mio titolare ha avuto delle difficoltà, siamo rimasti tutti a casa». Il giovane non si è però perso d’animo e, grazie all’Associazione Cuochi di Como di cui fa parte, è venuto a conoscenza che al Barbarossa cercavano uno chef. «Non mi sembrava vero. A febbraio ero assunto, ma ho fatto in tempo a lavorare solo un mese, perché a marzo il governo Draghi ha imposto una nuova chiusura dei ristoranti. È stato allora che ho scoperto che non mi sarebbe spettata nemmeno la cassa integrazione, come previsto dal Decreto Ristori 2021 per chi era stato assunto dopo il 4 gennaio».

«Abbandonato dallo Stato»

Rabbia e delusione. Giacalone ancora oggi non si capacita di quello che gli sta succedendo. «Lavoro da quando ho 16 anni, Non si può spiegare l’umiliazione di recarsi in Comune a chiedere un buono alimentare o alla Caritas perché non si riesce più ad arrivare a fine mese. Mi sento abbandonato dallo Stato italiano che non solo mi impedisce di svolgere la mia professione, mettendo al bando i ristoranti come luogo di contagio assoluto, ma che si fa sentire solo quando ha da riscuotere le carte esattoriali. Il 6 marzo me ne è arrivata una da quasi 900 euro: mi si è chiesto di versare l’Irpef, perché nel 2020 non avevo guadagnato abbastanza per coprirla. L’unica via d’uscita da questo paradosso è che ci facciano tornare al nostro lavoro e al più presto».

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