Lo scandalo Ticosa
Il Comune dorme mesi
e perde 43mila euro

Ritardi nelle verifiche e nei contratti: così i vincitori della gara si sfilano per giusta causa

Esiste un meccanismo, nelle gare pubbliche, che mette al riparo i soldi della collettività da colpi di testa o giochi d’azzardo da parte dei privati. Chi partecipa a una gara per un servizio come quello per la bonifica della Ticosa, infatti, deve depositare una fidejussione (ovvero una garanzia in denaro) che l’amministrazione pubblica può incassare in caso di mancato rispetto delle regole.

Ovviamente questo è successo anche per la vicenda Ticosa: le aziende in gara hanno infatti messo sul tavolo una cifra tra i 40mila e i 50mila euro che avrebbero perduta in caso di mancato rispetto delle regole del gioco (ad esempio la decisione di sfilarsi senza motivo dalla gara). Peccato che le regole del gioco siano state violate dal Comune che - a meno di cause civili, comunque sempre possibili e non così remote - non è chiamato a sborsare soldi, ma che nel frattempo ha perduto non soltanto la chance di bonificare finalmente l’area Ticosa, ma pure la fidejussione da 43mila euro sottoscritta dall’associazione di imprese prima classificata che il 23 febbraio ha deciso di ritirare l’offerta perché stanca di aspettare i tempi del Comune.

L’addio dei vincitori

Palazzo Cernezzi, dal canto suo, ha provato a fare la voce grossa: ha ignorato la comunicazione dei vincitori chiedendo i documenti per procedere alla stipula del contratto. Sentendosi rispondere, un paio di settimane più tardi che forse non erano stati chiari: «Noi ci ritiriamo». Da qui la decisione del settore appalti di pronunciare la decadenza del primo classificato dall’aggiudicazione, passaggio che avrebbe consentito al Comune di incassare la fidejussione non fosse per l’impossibilità di farlo, causa colpa da parte della stessa amministrazione.

Il motivo? I tempi biblici con cui il Comune di Como ha gestito il dopo gara. Una “dormita” che ha fatto trascorrere termini perentori previsti per legge, mettendo l’amministrazione all’angolo. Anche perché un retroscena raccontato dal dirigente del settore appalti sembra far intuire che il Comune sia riuscito nell’impresa di offrire una via d’uscita a costo zero per un gruppo di imprese che - forse - non avrebbero neppure potuto svolgere i lavori per via di una defezione improvvisa e sconosciuta.

Tempi biblici

Ecco cos’è accaduto. All’apertura delle buste, a luglio dello scorso anno, si è scoperto che i primi classificati avevano proposto un ribasso dei costi della base d’asta (che era di 4,3 milioni di euro) superiore al limite oltre il quale sono obbligatori accertamenti di legge. E così il 6 luglio la dirigente del settore ambiente ha avviato l’iter per chiedere le giustificazioni relative al ribasso anomalo offerto. La legge richiede che queste verifiche siano contenute entro i 180 giorni dalla scadenza per la presentazione delle offerte, ovvero il 30 giugno. Entro quel termine bisogna che l’aggiudicazione definitiva diventi efficace. La determina di aggiudicazione è datata 22 dicembre, ovvero 175 giorni dopo e solo cinque giorni entro il termine. Quindi il Comune dice: tutto in regola. L’avvocato dell’associazione di imprese replica: assolutamente no, perché l’efficacia è scattata dopo i 180 giorni.

Ma se fino a qui ci sarebbe spazio per discuterne - e probabilmente il Comune uscirebbe anche vincitore - è il passaggio successivo ad aver messo sotto scacco Palazzo Cernezzi. Perché la norma, infatti, prevede che dall’aggiudicazione alla firma del contratto debbano passare non oltre 60 giorni. Al sessantesimo giorno - ovvero il 19 febbraio - il Comune comunica ai vincitori che c’è bisogno di un accertamento per via di un potenziale elemento ostativo. Elemento superato il 26 febbraio, ben oltre i 60 giorni di legge.

Ecco così che il 17 marzo il legale della ditta prima classificata ha buon gioco a scrivere: caro Comune, noi ci sfiliamo perché anche se l’aggiudicazione non è avvenuta entro il termine di 180 giorni, di certo la stipula del contratto non è arrivata entro i sessanta giorni dall’aggiudicazione.

È a questo punto che entra in gioco il retroscena raccontato dal dirigente appalti e che lascia pensare che il Comune abbia letteralmente buttato alle ortiche i 43mila euro della fidejussione. Il 12 aprile la ditta mandante dell’associazione di imprese prima classificata scrive: noi ci siamo sfilati addirittura a luglio 2020. Come dire: i vincitori non avrebbero più avuto i requisiti per esserlo e, non avendo comunicato questo fatto al Comune, si sarebbero ritrovati in difetto. Per fortuna - per loro - Palazzo Cernezzi ha scelto di dormire il sonno dei giusti.

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