No del giudice, Gilardoni resta in carcere

Respinta la richiesta di domiciliari per il dirigente, accusato di corruzione

Parere negativo dal pm: ritiene sussista il rischio di inquinamento delle prove

Resta in carcere, Pietro Gilardoni.

A nulla è valso il tentativo dei suoi avvocati di farlo uscire dal Bassone dopo oltre un mese. Giudice delle indagini preliminari e procura di Como, infatti, temono ancora che possa inquinare le prove in un’inchiesta che non è ancora finita.

La doccia gelata per il dirigente comunale ex direttore del cantiere paratie è giunta venerdì. Quando l’ufficio matricola del carcere comasco gli ha comunicato la decisione dello stesso giudice che aveva firmato, a fine maggio, la custodia cautelare.

I legali di Gilardoni, Edoardo Pacia e Luisa Scarrone, avevano formalizzato un’istanza al Gip per chiedere gli arresti domiciliari. Un’istanza motivata sulla base degli sviluppi dell’inchiesta, in particolare per la vicenda costata un’indagine per corruzione a Gilardoni. Il Tribunale del riesame di Milano, nelle scorse settimane, aveva accolto l’istanza dei difensori di Roberto Ferrario, il professionista comasco accusato di aver pagato una tangente – sotto forma di incarico professionale – a Gilardoni, nell’ambito del progetto di allargamento di via Salita Peltrera per consentire il via libera a un maxi intervento edilizio, e aveva trasformato la custodia in carcere in domiciliari. Quella decisione ha fatto ben sperare Gilardoni e i suoi difensori. Speranze affossate innanzitutto dal parere fortemente negativo espresso dal pubblico ministero Pasquale Addesso, titolare dell’inchiesta, e quindi dalla decisione del giudice delle indagini preliminari.

Nella sua ordinanza il magistrato parla di un attuale rischio non già di reiterazione del reato, quanto di possibile inquinamento probatorio, tale per cui i domiciliari non sarebbero una misura adeguata a tutela di un’inchiesta fresca di proroga (la Procura ha appena chiesto altri sei mesi di indagini).

A questo punto si riapre la possibilità di un ricorso in appello.

L’altra possibilità è quella di aspettare l’evolversi della situazione, ma su questo fronte pesa il fatto di non avere un termine massimo di custodia cautelare fissato, a parte quello previsto dalla legge nei casi di corruzione che però è di un anno.

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