«Noi infermieri lasciati soli
nella lotta contro il Covid»

Consegnata al Prefetto una lettera con le rivendicazioni a Regione e Governo. E sul virus: «Tutto il carico sugli ospedali»

Guai farsi ingannare dai sorrisi che intuisci da dietro le mascherine, con le quali convivono ormai quotidianamente dai primi di marzo. Oltre la cortesia, infatti, s’incontra la rabbia degli infermieri comaschi. Per essere stati lasciati soli, per aver visto molte delle promesse fatte svanire, per una gestione del virus che ha lasciato l’amaro in bocca.

«La rabbia più grande che proviamo in questa seconda ondata? Il fatto che dal Governo alla Regione Lombardia nessuno, pur sapendo sarebbe arrivata, ha fatto nulla per consentirci di affrontarla. E così molti colleghi si sono malati, tutti siamo stati costretti a straordinari e turni massacranti e gli ospedali si sono riempiti» rischiando il collasso.

La protesta degli infermieri, sei mesi fa “gli eroi”, oggi quasi ignorati dai più, arriva in centro città fin dentro le stanze della Prefettura.

L’incontro con il prefetto

Ieri mattina il prefetto di Como, Andrea Polichetti, ha voluto incontrare una delegazione di infermieri del sindacato Nursing Up, che sta organizzando in tutta la Lombardia presidi di protesta per portare avanti una serie di rivendicazioni per la categoria.

«Il prefetto - spiega Monica Trombetta, dirigente del Nursing Up nonché consigliera dell’Ordine degli infermieri di Como - è stato gentilissimo: ha ascoltato tutte le nostre rivendicazioni e ha promesso che le avrebbe girate al ministero, a Roma». Rivendicazioni non solo legate all’aspetto economico, ma anche e soprattutto a una modifica della figura professionale degli infermieri. Ad esempio, tra le richieste vi è quella di far cadere il vincolo dell’esclusiva per i lavoratori dipendenti e consentire loro il lavoro extramoenia come avviene per i medici. Ma questo, si potrebbe obiettare, non sarebbe l’ennesimo danno per la sanità pubblica a scapito di quella privata e un ulteriore aumento della voragine di competitività tra l’una a l’altra? «Assolutamente no - garantisce Anna Maria Ciuccio, della segreteria regionale del sindacato - perché il nostro impegno non cambierebbe di una virgola all’interno delle aziende sanitarie pubbliche. Piuttosto vorremmo avere la possibilità di aprire ambulatori territoriali per lavorare con i pazienti, intercettandoli prima che arrivino in ospedale, o aver la possibilità di garantire un rinforzo alle case di cura e di riposo in crisi per la mancanza di personale infermieristico».

Premi per il taglio del personale

«In un recente passato - prosegue - hanno dato dei premi ai dirigenti degli ospedali che risparmiavano sui costi del personale, e si sono visti i danni quando è arrivato il Covid. Perché non dare quei premi, ad esempio, per abbattere le liste d’attesa e far tornare competitiva la sanità pubblica». Rincara Salvatore Sciascia: «Io, fosse il direttore generale dell’ospedale, direi al medico che svolge la libera professione: prima porti le liste d’attesa a 15 giorni, poi ti consento di svolgere ciò che mi chiedi».

Sull’importanza della presenza degli infermieri sul territorio Mauro D’Ambrosio fa un esempio: «La farmacia sotto casa mia riceve una decina di richieste al giorno di prestazioni di pazienti che chiedono prelievi o test del Covid. Tutto lavoro che gli infermieri sul territorio potrebbero fare». E «sappiamo benissimo - sottolinea Monica Trombetta - come proprio la medicina territoriale sia mancata nell’emergenza Covid, facendo ricadere tutto il peso sugli ospedali». Ma il virus «ha fatto capire anche chi siamo noi infermieri. La nostra figura era nell’ombra, ora si è capito quanto siamo importanti». O, meglio, lo hanno capito i pazienti e i cittadini. E la politica?

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