Su venti capi d’accusa tredici sono caduti e sei si sono prescritti. Soltanto una condanna

L’analisi Carcere e domiciliari per tre imputati, ma non ci furono reati. I magistrati 7 anni fa dissero: «Comune in cortocircuito»

Sembra passato un secolo da quando i giudici del Tribunale del riesame di Milano accusavano: «In Comune a Como un cortocircuito istituzionale». E ancora di più dai giorni in cui la Procura si oppose alla scarcerazione di Pietro Gilardoni (rimasto in cella ben tre mesi, prima che il giudice delle indagini preliminari lo rimise in libertà nonostante la contrarietà dell’accusa), sostenendo che avrebbe potuto reiterare il reato. Con il senno del poi (ovvero l’assoluzione di secondo grado), c’è da chiedersi: sì, ma quale reato?

L’inchiesta denominata “paratie”, ma che non solo di paratie si è occupata, sembrava aver scoperchiato il malaffare a Palazzo Cernezzi, e invece ha creato un castello d’accuse che alla prova d’appello è stato soffiato via da ben tredici assoluzioni e sei “non luogo a procedere” per intervenuta prescrizione. Della montagna di carte e di reati contestati, ne è rimasto uno soltanto: quello di rivelazione di segreti d’ufficio a carico dell’ex dirigente Pietro Gilardoni, colpevole di aver comunicato i concorrenti di una gara all’imprenditore Giovanni Foti. Ma è un nulla, rispetto alle imputazioni iniziali.

Proviamo a fare ordine. L’ex sindaco Lucini era accusato (ed era stato condannato) per turbativa d’asta per le paratie per aver frazionato una serie di incarichi professionali in occasione della famosa variante, bocciata dall’Anac. In buona sostanza con Gilardoni, Antonio Ferro e Antonella Petrocelli avrebbe aggirato le regole per non dover indire una gara d’appalto e accelerare così i tempi di realizzazione della variante. Quella vicenda, che ha portato anche a un’accusa di falso, è stata giudicata ormai prescritta. Non c’è stata, insomma, assoluzione nel merito della contestazione, ma i giudici hanno detto: è passato troppo tempo da quel fatto, per poterlo ancora contestare.

Diverso è il discorso sull’accusa di falso per aver attestato all’Anac la presenza di una sorpresa geologica che avrebbe consentito, norme alla mano, di poter cambiare sostanzialmente il progetto originario senza rifarlo da capo. Secondo i giudici di Milano non ci fu alcun reato. Da capire se non è considerato un falso l’attestazione degli amministratori comaschi oppure se viene sconfessato tout-court la bocciatura dell’Anac sulla sorpresa geologica (visto, peraltro, che la stessa è tornata d’attualità dopo che l’opera è passata in mano alla Regione).

Lucini e la sua amministrazione erano già stati assolti (e l’Appello lo ha confermato) da un’altra lunga serie di accuse: l’aver indotto in errore la giunta sullo spacchettamento degli incarichi; la turbativa d’asta per aver favorito (per l’accusa) Sacaim attestando la sorpresa geologica; i falsi per i vari stati di avanzamento lavori; la turbativa d’asta per i lavori in piazza Roma e piazza Grimoldi e per i lavori alla rete fognaria in zona Sant’Agostino; l’abuso d’ufficio per aver favorito l’imprenditrice Gloria Bianchi.

In prescrizione, oltre alle già citate condanne di primo grado, anche per tutte le contestazioni di abusi edilizi, abusi paesaggistici e deturpamento di bellezze naturali. Ma senz’ombra di dubbio l’assoluzione più clamorosa è quella sull’accusa di corruzione per i lavori in Salita Peltrera. Già i giudici di Como avevano cambiato l’accusa di corruzioni per atti contrari ai doveri d’ufficio, in quella di corruzione per atti d’ufficio. Ora cade completamente anche quella.

Sul fronte delle condanne, infine, la differenza tra le richieste e la realtà è clamorosa: Lucini doveva scontare 3 anni per la Procura, assolto completamente. Gilardoni da 9 anni e mezzo, ad appena 6 mesi; Antonio Ferro da 7 anni a zero; Antonio Viola da 6 anni a zero. Per qualcuno l’elefante ha partorito il topolino. Per qualcun altro, neppure quello.

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