Sub annegata davanti ai due amici
La Cassazione: «Non l’hanno soccorsa»

Processo da rifareMorta a 35 anni in immersione, annullate le assoluzioni dei compagni «I giudici valutino se la donna avesse chiesto di prestarle aiuto in caso di necessità»

«Entrambi» gli imputati «hanno cercato di fare il possibile per salvare la vita della loro compagna d’immersione, sia pure con le difficoltà e gli errori di valutazione che possono essere stati commessi» avevano chiosato i giudici di appello nell’assolvere gli imputati. Assoluzione che la Cassazione ha spazzato via, ordinando alla corte di Milano di «accertare se, esplicitamente o tacitamente, la sub avesse attribuito ad uno o ad entrambi i suoi compagni di immersione il compito di prestarle soccorso in caso di necessità e valutare, ove accertati, i comportamenti attivi colposi attribuiti dalle contestazioni» ai due amici «con riguardo alla fase del soccorso».

La tragedia

Il caso della morte di Paola Nardini, 35 anni, scesa nei fondali del lago di Como in fondo a viale Geno, domenica 29 settembre 2013, e mai più riemersa, si riapre. La speranza della madre di Paola, Daniela Moralli, che la Cassazione potesse annullare la doppia assoluzione dei due sub che erano con la figlia quel giorno, ovvero Walter Sordelli, l’allora compagno della madre di Paola, e Daniele Gandola, si è avverata. Anche se i tempi della prescrizione quasi certamente arriveranno prima del nuovo processo d’appello.

Sordelli era accusato di aver organizzato quell’immersione oltre i limiti del brevetto di Paola (hanno raggiunto i 56 metri anziché i 40 massimi previsti), di non aver mantenuto il contatto visivo con gli altri sub e di non aver indossato il gav (il giubbotto che si gonfia consentendo una rapida emersione). Gandola di non aver passato il suo erogatore secondario a Paola e - accusa il consulente della parte civile - di aver chiuso l’erogatore sbagliato nel tentativo di bloccare la fuoriuscita di aria dalla bombola della compagna di immersione. I giudici avevano stabilito che «Sordelli e Gandola non si trovavano in una posizione di garanzia rispetto a Paola Nardini». Tradotto: non si trattava di un’immersione con una allieva, ma fra tre amici tutti «esperti» che hanno «deciso consapevolmente e autonomamente di immergersi».

La bocciatura della Cassazione

Proprio su questo punto arriva, sonora, la bocciatura della Cassazione. Che, in sintesi, contesta ai giudici di aver clamorosamente sbagliato a subordinare la loro decisione sull’assenza di un “responsabile” dell’immersione. Il Tribunale - scrivono i giudici romani accogliendo il ricorso del procuratore generale e dell’avvocato Edoardo Pacia, legale della madre della vittima - ha erroneamente ritenuto risolutiva la assenza di posizione di garanzia in capo agli imputati. Persino quando ha trattato della chiusura di uno dei rubinetti della bombola della Nardini, si è limitato alla prospettazione delle ipotesi in campo asserendo che la natura colposa della condotta non avrebbe avuto comunque rilievo penale, stante la assenza di posizione di garanzia. Ben diversamente, si è in questo caso chiaramente in presenza di una condotta attiva, che non richiede in alcun modo, per assumere rilevanza penale, la promanazione da soggetto titolato, essendone sufficiente il carattere colposo e l’efficienza causale». Ovvero: se sono stati commessi errori oppure omissioni nel momento dei soccorsi da prestare alla giovane sub, questi vanno valutati attentamente e, nel caso, sanzionati. E non ignorati sostenendo che si trattava di tre amici tutti parimenti bravi nelle immersioni.

Una sentenza che suona così clamorosamente diversa da quelle di assoluzione, da suggerire l’idea che i magistrati abbiano letto le sceneggiature di episodi che nulla hanno a che fare gli uni con gli altri. Quel che è certo è che il caso si riapre, anche se la prescrizione rischia di vanificare l’attesa per conoscere finalmente la verità giudiziaria sulla tragedia di Paola.

© RIPRODUZIONE RISERVATA