Tangenti e fisco, ora tocca ai clienti
Il sospetto del pm: molti di loro sapevano

Al via la terza fase dell’inchiesta scaturita dagli arresti di martedì mattina - Al vaglio le posizioni della clientela degli studi professionali che pagavano le mazzette

Como

Roberto Colombo, il funzionario addetto all’ufficio del registro dell’Agenzia delle entrate arrestato lo scorso martedì, non avrebbe mai smesso di fornire le sue “consulenze” agli studi professionali dei commercialisti che gliene facevano richiesta, nemmeno dopo l’arresto del collega Stefano La Verde. Neppure la consapevolezza di essere iscritto sul registro degli indagati lo avrebbe indotto a desistere.

È quanto emerge dagli atti dell’indagine sulla tangentopoli del fisco di casa nostra, atti che non smettono di fornire spunti di approfondimento e sui quali rischia seriamente di incardinarsi una terza tranche di inchiesta, con sviluppi potenzialmente esplosivi. Uno dei principali obiettivi sarà quello di chiarire una volta per tutte quali e quanti, tra i clienti dei vari commercialisti che “stipendiavano” i funzionari di viale Cavallotti, quali e quanti di loro fossero a conoscenza di quel che accadeva con le loro cartelle esattoriali, e in definitiva quanti siano potenzialmente responsabili del reato di corruzione.

Del resto - ferma restando la cautela dovuta in fase istruttoria - il quadro che emerge è quello di un sistema parecchio consolidato, per certi versi addirittura inscalfibile, se è vero, come è vero, che neppure l’arresto di Stefano La Verde valse a raffreddare le ambizioni di chi ne era rimasto fuori, sia pure provvisoriamente.

La Procura ha accertato che pur sapendo di essere indagato, e quindi sottoposto a un sorveglianza intuibilmente “speciale”, Colombo continuò a frequentare gli studi professionali dei “clienti” suoi e del collega finito in carcere. Cioè tutto proseguiva come se nulla fosse: stesse “consulenze” remunerate, stesse pratiche condivise, stesso iter.

Non solo: apparentemente Colombo cercò anche di studiare le mosse del “nemico”, cioè della Procura, provando a contattare l’avvocato che assisteva il suo collega La Verde, dopo i due interrogatori dell’1 e del 2 agosto, quando l’ormai ex funzionario dell’Agenzia delle entrate tracciò al pubblico ministero un quadro ampio ed esaustivo di quel che da anni capitava in città.

Tanta spregiudicatezza, vera o presunta, ha finito per ritorcersi contro lo stesso Colombo, che agli occhi del pm è apparso potenzialmente in grado di avvicinare chi magari fosse stato già interrogato per indurlo, chissà, o a ritrattare o a stemperare la portata di alcune sue dichiarazioni. Per Colombo è stato come aprirsi da solo le porte di una cella, così come lo è stato per un’altra protagonista di questa vicenda, la commercialista dello studio Pennestrì Simona Secchi, colei che dopo l’arresto del suo “dominus” tentò di reiterarne le fortune con metodi non dissimili, poco curandosi del lavoro della magistratura.

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