Tangentopoli del fisco, la confessione
«Ecco come ci spartivamo le mazzette»

Il racconto choc dell’ex funzionario dell’Agenzia delle entrate di Como Colombo «Sapevo che alcuni colleghi erano interessati a farsi pagare»

In un mondo perfetto ti aspetteresti, dal pubblico ufficiale che scopre che il collega intasca mazzette, un’immediata denuncia alla magistratura. Nell’Agenzia delle entrate di Como, questo non avveniva. O, meglio, è avvenuto soltanto una volta (la più classica delle eccezioni che confermano la regola), dopo decenni di corruzione, e ha permesso di scoperchiare la tangentopoli del fisco che ha inguaiato fino ad oggi non meno di 60 persone tra funzionari pubblici, commercialisti, imprenditori disposti a oliare la macchina delle tangenti pur di risparmiare sulle tasse.

Ma si è trattato, appunto, di un’eccezione. Perché il più delle volte nei corridoi dell’Agenzia di viale Cavallotti funzionava come ha raccontato Roberto Colombo ex dipendente del fisco - con casa a Casnate - finito in cella per aver accettato soldi da un discreto numero di professionisti: «Avevo riferito» a due colleghi «che un professionista mio amico era disponibile a pagarci. Essendo anche loro interessati, glielo presentai in occasione di un aperitivo».

Per certi verso è scioccante la confessione resa davanti al pubblico ministero Pasquale Addesso e ai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Como dall’ex funzionario del fisco. Scioccante, perché racconta di un sistema talmente consolidato che ormai nessuno si preoccupava più di tanto di farne mistero con gli altri. E infatti Colombo ha confessato che era a conoscenza di come almeno altri tre suoi colleghi (tutti già finiti sotto inchiesta, uno pure arrestato) fossero sensibili al fruscio della mazzetta.

Uno di questi colleghi è Stefano La Verde, assieme all’ex direttore dell’Agenzia delle entrate di Como, Roberto Leoni, grande protagonista della prima e della seconda tranche dell’inchiesta sulla tangentopoli del fisco. Racconta Colombo: «Io e La Verde eravamo amici ed entrambi eravamo a conoscenza delle dazioni che ricevevamo dai professionisti. Per tale ragione sapevamo che l’uno poteva contare sull’altro». Alla domanda del pubblico ministero: cosa intende dire? Colombo precisa: «Lui mi dava una mano per i contenziosi e io per gli accertamenti d’imposta di registro, in modo da poter assecondare le richieste dei professionisti che ci remuneravano». Tradotto: funzionari pubblici totalmente al servizio dei privati. Anche quando quel servizio cozzava con i doveri d’ufficio.

Ma gli alleati, in ufficio, non mancavano. Come Patrik Orlando, comasco, fresco di avviso di chiusura indagini con l’accusa di corruzione: «Mi aiutava per le dichiarazioni di voluntary disclosure» per conto dei clienti di un commercialista. «Per quattro pratiche abbiamo ricevuto complessivamente 4mila euro». Oppure Vincenzo Ferraro, talmente disinvolto da consegnare il compenso al collega direttamente all’interno dell’Agenzia delle entrate: «Ferraro mi disse che svolgeva lavori per conto di uno studio fiscale di Como, con ciò facendomi capire che trattava delle pratiche come effettuavo anch’io per gli altri professionisti. In tale contesto si rivolse a me per delle dichiarazioni di successione, per le quali ho effettuato le consuete attività per il tramite degli eccessi abusivi» nelle banche dati degli uffici fiscali. «Il mio compenso? Quattrocento euro. Mi sono stati consegnati in contanti all’interno dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate».

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