«Un fallito, senza lavoro»
Como, tenta di buttarsi nel lago
Salvato in extremis dalla polizia

Cinquantenne disperato dopo il licenziamento, l’intervento degli agenti in viale Geno ha evitato il peggio

Non è poi così difficile arrivare a un solo passo dal baratro. Soprattutto in tempi di crisi economica dove gli uomini diventano numeri e vent’anni di lavoro si possono cancellare con una lettera di licenziamento. A un passo dal baratro, poi, devi avere la fortuna di trovare qualcuno che ti tenda una mano, per evitare di precipitare.

Crisi, disperazione e solidarietà in una gelida notte d’autunno sulle rive del lago di Como, dove un uomo di cinquant’anni è stato salvato da un tentato suicidio da alcuni poliziotti che, per mezz’ora, si sono seduti accanto a lui sui gradini del molo di Sant’Agostino a raccogliere il suo sfogo disperato.

A raccontare quell’episodio, in una relazione di servizio che sembra uscita da un romanzo, è uno di quei poliziotti. Che si è trovato nel posto giusto al momento giusto, alle 3 e venti del mattino tra il lungolago e viale Geno.

Il poliziotto, in servizio con un collega su una volante, nella sua relazione racconta di come, arrivati al porto di Sant’Agostino, notano una mountain bike di valore appoggiata in qualche modo sui jersey di cemento. Insospettiti, i due agenti decidono di fermare l’auto, scendere e dare un’occhiata in giro. «Una sagoma di un uomo seduto sui gradini che scendono al lago» attira la loro attenzione. Un uomo. «Bardato di tutto punto con, sulle spalle, uno zaino nero» particolarmente pieno e pesante. L’uomo è seduto sul penultimo gradino. Con i piedi che sfiorano il quasi impercettibile movimento delle acque del lago.

I poliziotti lo raggiungono . E tentano di parlargli, ma senza successo. Alle loro domande si chiude «in un particolare silenzio emotivo». Mentre uno degli agenti chiede ausilio a un’altra auto, l’altro prova a «stabilire un rapporto di empatia». A rompere il suo silenzio.

Il tutto avviene con tempi lunghissimi. Quasi congelati. Nei quali l’uomo seduto a un passo dal baratro «alterna momenti di loquacità e lucidità ad attimi di profondo sconforto e depressione». Momenti nei quali distoglie lo sguardo, si copre il volto con le mani, come «manifestazione di vergogna». Gli agenti, però, ormai hanno rotto il muro della diffidenza. E così lui racconta: «Ho perso il lavoro... dopo vent’anni... ho fallito». L’uomo spiega che aveva un contratto a tempo indeterminato, ma che, dall’oggi al domani, ha ricevuto una lettera di licenziamento. E si è ritrovato a casa. All’età di cinquant’anni. Sentendosi senza prospettive. «Fallito». E con una sola idea in testa: «Voglio farla finita».

C’è un momento preciso in cui il baratro è un bivio tra la vita e la morte. E quel momento è quando l’uomo si alza in piedi all’improvviso «e con uno slancio cerca di proiettarsi nelle acque riuscendo a immergersi solo con la parte inferiore del corpo». I poliziotti intervengono, «afferrandolo chi per lo zaino, chi per un braccio, chi per il vestiario indossato. Non senza difficoltà» riescono a riportarlo sulle scale, lontano dall’acqua. E in quel momento l’uomo che, fino a pochi istanti prima pensava solo di farla finita «prende coscienza dei suoi istinti» e crolla in una crisi di pianto. «Tra i singhiozzi e le lacrime ci ha confermato le proprie intenzioni maturate in seguito al licenziamento» scrive nella sua relazione il poliziotto. Intenzioni così forti da indurre l’uomo a riempire uno zaino e attaccarsi delle catene per farla finita. Ma capita che, a un passo dal baratro, qualcuno ti salvi.

Ora quell’uomo ha scelto di affrontare la propria depressione e quel senso di «fallimento» e ha accettato di farsi curare. Perché per superare la crisi dove le persone diventano numeri, bisogna aver la fortuna di trovare uomini che sappiano dimostrare il contrario. Anche quando indossano una divisa.

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