Violentarono una ragazzina
Il processo inizia (forse) 5 anni dopo

Alla sbarra al tribunale dei minori due imputati, comaschi, oggi maggiorenni - L’avvocato: «Non sono più gli stessi di allora». Il giudice: «Mi scuso a nome dello Stato»

Como

Avevano 14 anni quando furono denunciati, ne avranno quasi venti quando il prossimo mese di marzo, se tutto andrà come previsto, incontreranno finalmente il loro giudice, che non sarà ovviamente un giudice di un tribunale ordinario ma quello del tribunale dei minori. Il quale, giusto questa settimana, in occasione dell’ennesimo rinvio, per un “legittimo impedimento”, di un processo che avrebbe dovuto già essersi concluso da un pezzo, ha convenuto sul fatto che così non va: «Mi scuso - ha detto il magistrato - a nome dello Stato».

E dire che la vicenda al centro di questo procedimento, davvero una storiaccia, suscitò, a suo tempo, una certa eco in città: quei due amici, in un pomeriggio del giugno 2014, rubarono borsetta e telefono cellulare a una ragazzina di 13 anni, salvo poi costringerla ad andare a casa di uno di loro per farseli restituire.

Lungi dal riconsegnare il maltolto, i due - almeno per come la vicenda fu ricostruita dalla Procura - pensarono bene di chiuderla dentro a chiave e di lasciarla lì, probabilmente senza capire che già così stavano commettendo un reato. Dopo un po’, mentre lei implorava di aprire, furono colti dalla geniale intuizione di aprirle sì, ma soltanto per costringerla in camera da letto: la buttarono sul letto, la spogliarono, la palpeggiarono e, immobilizzandola, la costrinsero a consumare atti sessuali con entrambi. E poi: quando in lacrime lei implorò di potersene andare, i due amici la presero anche a schiaffi, costringendola a subire l’onta ulteriore di essere fotografata con il solito, eterno smartphone, presenza già allora costante sulla scena di tanti reati a sfondo sessuale commessi da adolescenti.

Risultato? Le immagini, nei giorni successivi, furono diffuse via whatsapp nella cerchia degli amici.

Il problema della distanza del giudizio dai fatti in contestazione è fondamentalmente uno: «E cioè - dice il difensore Simone Gatto - che oggi, a vent’anni, i ragazzi non sono più gli stessi di quando ne avevano 14. Per non dire - aggiunge l’avvocato - della difficoltà concreta di individuare un eventuale percorso di rieducazione. A distanza di tanto tempo, per di più con imputati non più minorenni, rischia di venire meno il senso di tutto il processo». Appuntamento in aula il 14 marzo 2019. Forse.

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