Linati, "Passeggiate"
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Ripubblicato il libro dello scrittore comasco morto 60 anni fa, comprendente articoli usciti su "Il Broletto" e su "La Provincia" negli anni Trenta. Lo ha letto per noi Alberto Longatti, uno dei maggiori studiosi dell'opera linatiana.

di Alberto Longatti

Ogni tanto, a distanza di tempo, e questo è il destino postumo dello scrittore comasco, esce un libro di Carlo Linati. Quasi alla chetichella, si direbbe, come mostra una nitida riedizione, fresca di stampa, di "Passeggiate lariane" (134 pagine, 22 euro) ad opera del Polifilo, che fa seguito a quella proposta integralmente nel 1999 da Boni di Bologna, ed alla pubblicazione parziale in "Passeggiate all’Ovest" di Dialogolibri nel 2000 con nota introduttiva dell’indimenticato Arturo Della Torre, linatiano di lungo corso. Il Polifilo ripropone l’antologia con uno sperticato elogio per l’autore, definendolo «uno dei maggiori scrittori lombardi del Novecento» per il suo «gusto garbato e vagabondo" nonché per la dote di «una penna vigile». Però l’inserisce in una collana intitolata significativamente «La biblioteca perduta» che comprende, come avverte il risvolto editoriale, «testi rari, inediti o di difficile reperimento».
Sono trascorsi sessant’anni dalla morte di Linati, folgorato l’11 dicembre 1949 da un infarto nella sua villa di Rebbio, la Cantalupa. Ritroviamo il suo nome fra i testi dispersi di una "biblioteca perduta", recuperabile per la curiosità di bibliofili a caccia di rarità, in un’opera certamente minore nel contesto della sua opera. A noi fa piacere, naturalmente, che si rinfreschi la memoria di queste scorribande nei luoghi più ameni del Comasco, con un occhio d’attenzione puntato sulla loro storia. Ma certo per capire più a fondo quanto abbia resistito agli insulti del tempo la valentìa narrativa dello scrittore avrebbe giovato meglio una rilettura di altre pagine linatiane, più libere nell’invenzione e meno concentrate sulla fotografia di un territorio dagli angusti confini, assai mutato dall’anno in cui Garzanti ha fatto uscire <+G_CORSIVO>Passeggiate lariane<+G_TONDO>, nel luglio 1939, recando in fregio una dedica amichevole all’ingegner Attilio Terragni, allora podestà di Como. Il ’39 fu un anno burrascoso, stava per scoppiare la seconda guerra mondiale e quel libro, uscito in antitesi con il clima plumbeo del conflitto alle porte, apparve come una parentesi serena fra i minacciosi proclami hitleriani e le estreme manovre diplomatiche per scongiurare invano la catastrofe. Una parentesi aperta quando tutto stava per crollare, in primo luogo un mondo pervaso da tranquillità agreste e da costumi pacifici, l’eden in cui Linati credeva.
Il libro sarebbe apparso anche a Como un campanello d’allarme, un segnale di  cambiamento, se tuttavia non avesse trattato argomenti che i comaschi ben conoscevano e, anzi, avevano già apprezzato di recente proprio attraverso la limpida prosa dello scrittore. "Passeggiate lariane", infatti, comprende un mazzetto di articoli già pubblicati su una rivista uscita per un breve periodo (dal 1935 al 1938), "Broletto", fondata e diretta da un amico di Linati, il gallerista milanese e mecenate Carlo Peroni che trascorreva gran parte dell’anno nella sua villa di Blevio. Peroni, per dare alla rivista una più autorevole fonte di richiamo, aveva in un primo tempo convinto nientemeno che Alberto Savinio, di passaggio nel Comasco per una vacanza a Brunate, a condividerne la gestione. Savinio accettò, ma lontano dalle sponde del Lario finì per rinunciare all’incarico dopo soli tre numeri. Su "Broletto" la collaborazione linatiana ebbe come motivo conduttore la maggior conoscenza di contrade già note, ma meritevoli di rinnovato interesse per una visita che non si limitasse ad una fredda registrazione di dati ambientali e sapesse invece rilevarne le caratteristiche più suggestive animando le descrizioni con riferimenti storici. Lo scrittore assolse di buon grado il compito dando alle sue scorribande la realistica impronta di cronache, alternando aneddoti e incontri dal vivo con vari personaggi agli scorci paesistici nei quali era maestro, come riconobbe uno dei suoi più affettuosi ma esigenti lettori, Cesare Angelini.
Delle diciassette "Passeggiate" raccolte nel libro dieci provengono da "Broletto": altre, aggiunte per rimpinguare l’esile volume, sono precedenti lavori apparsi su libri già pubblicati (vedi "La villa di Plinio" in "Memorie a zig zag", 1929), su riviste turistiche quali "Le vie d’Italia" (per esempio "Ultima Tule lariana", 1929) o sulla terza pagina de "La Provincia"(come "Tremezzina", 1930). La diversa collocazione iniziale degli scritti provoca la loro disuguaglianza non di contenuto ma propriamente di scrittura, che appare più elaborata, ricca di inventivi impasti lessicali quando è destinata a riviste di tipo culturale e si adegua ad un livello maggiormente divulgativo, con un più sommesso e piano tono discorsivo, allorché si rivolge ad un pubblico da stampa quotidiana. Questo non significa affatto che i testi rivelino eccessivi salti di qualità, anzi la semplificazione linguistica evita certi eccessi di colore espressivo che rendono più ardua la comprensione dei significati di singoli vocaboli e più faticosa la costruzione delle frasi. Va detto comunque che la vecchia raccolta di articoli, illuminata da colpi d’ala descrittivi e complessivamente scorrevole nel dettato, è ancora gradevole nell’inquadrare pittoreschi scorci di un paesaggio ahimè oggi assai alterato. E nel riscontrare il trionfo di boschi e di campi verdeggianti intorno alla città che l’appassionato testimone di quegli anni esalta ci coglie la malinconia per un passato senza ritorno. Davvero da "biblioteca perduta", o meglio, da realtà dissipata senza controllo, per ignavia e disattenzione di chi avrebbe dovuto strenuamente difenderla.

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