"Mussolini impaurito
dalla Marcia su Roma"

Il capo del fascismo svelò a Cavallasca il suo stato d'animo. Una testimonianza inedita raccolta dallo storico Festorazzi riapre una pagina della storia italiana.

di Roberto Festorazzi

«Mussolini, dopo la Marcia su Roma, era molto impaurito. Convocò al Soldo i notabili della zona, tra cui mio nonno Giovanni Butti, sindaco di Cavallasca per pochi mesi, nel 1922, e li scongiurò di non perdere la testa: "State calmi, state calmi", fu la raccomandazione che ripeté più volte». Il Soldo era la casa di campagna di Margherita Sarfatti, scrittrice di origini ebraiche, amante e biografa del capo del fascismo.
A raccontare questo retroscena inedito è Marco Augusto Frigerio, 71 anni, esponente di quella famiglia Butti-Frigerio che ha dato sette sindaci al proprio "feudo" di Cavallasca. L’episodio è estremamente rivelatore delle preoccupazioni che dominavano l’animo di Benito Mussolini, molto incerto se dare o meno corso alla conquista del potere attraverso un colpo di mano che assomigliasse alla rivoluzione di Ottobre russa del 1917. Fu proprio la Sarfatti ad aiutarlo a rompere gli indugi, pronunciando la famosa frase, rivolta al Duce: «O marci o crepi. Ma so che marcerai». Mussolini temeva non soltanto uno spargimento di sangue, ma soprattutto non era sicuro che la Marcia su Roma potesse imporsi come evento risolutore della crisi. Di lì il suo fondato timore che un gesto di forza potesse generare una nuova fiammata di guerra civile.
Le preoccupazioni legalitarie di Mussolini erano anche il frutto della sua mentalità di uomo politico aduso agli intrighi: egli era infatti convinto di poter ereditare il potere dalla vecchia classe liberale, raccogliendolo come una pera matura che cade dall’albero. Dunque, fino all’ultimo, esitò molto se ordinare l’assalto ai palazzi. Quando si risolse a "marciare", egli tuttavia si rifugiò a casa di Margherita Sarfatti, pronto a varcare il confine svizzero qualora la rivoluzione d’Ottobre italiana fosse fallita miseramente. Al contrario, egli uscì vincitore dalla prova di forza. Il re lo chiamò a presiedere un nuovo governo. La prima preoccupazione del Duce fu quella di fornire rassicurazioni alla borghesia e di affrontare la transizione politica nello spirito della continuità, senza dare a vedere che aveva conquistato tutto il potere. Era talmente ossessionato dal pensiero di non urtare nemmeno la suscettibilità dei vecchi governanti e dei funzionari ministeriali, che diede ordine di lasciare l’auto di servizio a disposizione del suo predecessore, Luigi Facta, per tutto il tempo che avesse ritenuto necessario. Con ciò si spiega l’adunanza del Soldo, in cui Mussolini pronunciò una parola d’ordine per lui non inconsueta: dare prova di estrema moderazione.
Marco Augusto Frigerio è il custode di memorie plurisecolari che riguardano la sua dinastia, i "padroni del vapore" di Cavallasca. Suo bisnonno Giuseppe Butti era il mitico "Pepott", figura di patriota, proprietario terriero e produttore di un mai dimenticato vino bianco. Il carismatico capoclan a vent’anni partecipò alle Cinque Giornate di Como e fu ferito durante la presa della polveriera di Viale Geno. Nel 1859, egli offrì a Garibaldi la propria residenza, Villa Imbonati, perché il generale vi potesse fissare il suo quartier generale durante la Battaglia di San Fermo. "Pepott", sindaco del paese per ventitré anni, volle perfino portare a Cavallasca il celebre Buffalo Bill, nel 1906. Ma a Villa Imbonati fu più volte ospite anche il giovane Luigi Pirandello.
Non meno interessante la figura del padre di Frigerio, Flaminio, capitano degli Alpini, morto a 54 anni nel 1962. Grazie anche al fatto che la sua proprietà era confinante con quella di Margherita Sarfatti, ne divenne intimo amico tanto da raccoglierne le confidenze.Flaminio Frigerio ebbe una vita avventurosa e lo si ricorda per una grande passione, quella della caccia. Racconta il figlio Marco Augusto: «Possedeva cani ai quali era molto affezionato: tra essi, un bracchetto, di nome Harold, che gli fu fedele compagno per molti anni». Nel clima di euforia del primo dopoguerra, il capitano Frigerio aprì una casa da gioco a Torino, vicino al Castello del Valentino. Nella casa di famiglia della frazione di Carbonera si conserva ancora una delle roulette con cui venivano effettuate le scommesse. Un giorno, la Guardia di Finanza fece irruzione nel casinò per effettuare dei controlli e Frigerio, spaventatissimo, si tuffò nel Po raggiungendo con facilità l’altra sponda del fiume: era infatti un provetto nuotatore. Le Fiamme Gialle posero i sigilli alla sala da gioco. Non rassegnandosi alla perdita dei suoi mobili, Frigerio si recò a Torino con un camion e, tolti i sigilli, riuscì a tornare in possesso di due roulette e dei suoi tavoli verdi. Il figlio Marco Augusto ricorda divertito l’esito di quella rocambolesca avventura: «Con le assi dei tavoli verdi ho costruito il soffitto dei nostri pollai, mentre con l’ultimo pezzo di stoffa ci copro ancora adesso la macchina per scrivere. Ci tengo però a precisare che mio padre uscì totalmente indenne da quella vicenda, perché non furono riscontrate irregolarità di sorta. Morì incensurato e, anzi, era talmente attratto dalle iniziative pionieristiche che, un giorno, venne a casa e disse a mia madre: "Ho deciso: ho comprato una fazenda in Brasile: si parte". Inutile dire che la mamma non era d’accordo e perciò non se ne fece nulla».

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